DA DOVE ARRIVA IL CARO-AFFITTI: CHI HA UN APPARTAMENTO IN UNA CITTÀ PREFERISCE AFFITTARLO AI TURISTI CHE A STUDENTI O FAMIGLIE, VISTO CHE LA LOCAZIONE BREVE È MOLTO PIÙ PROFITTEVOLE
DA NORD A SUD SONO 600 MILA GLI APPARTAMENTI ADIBITI A B&B – LO SCOTTO LO PAGA CHI VIVE IN QUESTE CITTA’ E HA BISOGNO DI UN APPARTAMENTO IN CUI VIVERE: HA POCA SCELTA E A PREZZI ESORBITANTI
Su una cosa Andrea e Luca sono d’accordo: a Firenze non si riesce più ad abitare: «I turisti sono troppi, è una giungla». La differenza è che Andrea vive fuori e il suo monolocale ai limiti del centro — Porta al Prato — lo affitta ai viaggiatori su Booking e Airbnb: «Mi aiuta a integrare lo stipendio, è pieno 200 notti l’anno».
Mentre Luca, che in quella zona vive, dai turisti si ritrova circondato. L’appartamento sopra, quello sotto, quello a fianco al suo, frazionati e trasformati nel “nido a 15 minuti dagli Uffizi”: «Sembra di essere in un albergo a ore — racconta — viavai continuo, rumori e le spese del condominio raddoppiate, tutto per difendere la rendita di qualcuno». Parti opposte dello stesso fronte: quello degli affitti brevi, con il loro dibattutissimo impatto sulle città.
Da un lato chi invoca una stretta: gli studenti in tenda contro il caro affitti, la classe media che non riesce a comprare, alcuni sindaci, tutti in nome dell’accessibilità dell’abitare. Dall’altro chi chiede di non soffocare un settore dall’indotto miliardario: le piattaforme digitali, ovviamente, i piccoli o grandi proprietari, i property manager che gestiscono in modo professionale decine di immobili.
Finora quasi nulla è stato fatto: il nostro è uno dei pochi Paesi europei che dal fenomeno degli affittacase 2.0 si è lasciata travolgere senza provare a governarlo. Da Barcellona a Parigi, da Berlino ad Amsterdam, tutti negli anni hanno introdotto paletti più o meno stringenti, come meccanismi di licenza o tetti al numero di notti vendibili.
E non si può certo dire che il fenomeno sia marginale: 600 mila case sui portali, tra città, borghi e località di villeggiatura. «In Italia la questione è stata molto poco discussa e regolata, al massimo da un punto di vista turistico o fiscale», dice Francesca Artioli, professoressa di Politiche urbane all’Università Paris-Est Créteil.
Troppe case-albergo, per il bene di chi cerca una casa-casa? Ecco il primo oggetto del contendere. «In Italia ci sono 9,5 milioni di abitazioni sfitte, con poche eccezioni la demografia sta svuotando le città e si colpevolizza un fenomeno che in realtà pesa pochissimo, il 2% delle case», risponde Marco Celani, fondatore di Italianway, una delle principali società di property manager.
«A Venezia il mercato degli affitti residenziali non esiste quasi più», racconta Silvia, 40 anni, organizzatrice di eventi che ha deciso di tornare a vivere nella sua città natale, salvo ritrovarsi a cercare casa per un anno, respinta da cartelli inquietanti: «no residenti, no studenti».
Il perché lo spiega la convenienza, in senso ampio. Il rendimento di un affitto turistico per chi compra o possiede un appartamento da 65 metri quadrati nelle maggiori città è superiore all’affitto tradizionale. A Roma, Venezia, Firenze, le più turistiche, la differenza è evidente: nella Capitale, secondo simulazioni di Idealista, si possono incassare oltre 26 mila euro l’anno contro 10 mila, al lordo delle tasse (che sono comunque le stesse, cedolare secca).
Che gli affitti brevi non siano la sola causa, e forse neppure la principale, dell’emergenza casa nelle grandi città, lo riconosce anche chi vuole la stretta. I centri si stavano spopolando già prima di Airbnb, trasformati in parchi turisti con case vecchie e sempre meno servizi.
(da La Repubblica)
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