LE PIATTAFORME DI FOOD DELIVERY SI PAPPANO TUTTO “E NON CONDIVIDONO NULLA”
COMMISSIONI DEL 20% E RITARDI NEI PAGAMENTI… COSI’ I RISTORANTI ITALIANI SONO DIVENTATI DIPENDENTI DALLE APP DI CONSEGNA CIBO
L’algoritmo presenta il conto ai ristoranti ed è assai salato. Secondo un’indagine condotta dall’Inapp su un campione di 40 mila aziende, le piattaforme di food delivery esigono in media una commissione del 18,2% dai circa 19 mila esercizi italiani che le utilizzano per raccogliere consegnare gli ordini a domicilio. Per un ristoratore su tre, però, il costo del servizio via app oltrepassa addirittura la soglia del 20%.
All’apice della pandemia Glovo, Deliveroo, Just Eat e gli altri portali sono stati per mesi il principale, se non l’unico, canale di vendita per trattorie, osterie, pizzerie e via dicendo. Le iscrizioni sono così aumentate rapidamente: secondo l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, oggi il 12,8% dei ristoratori ha in essere un contratto con un’app di consegna a domicilio, quasi il doppio rispetto al periodo pre-Covid.
Il dato può apparire basso, ma è in realtà elevato se si considera che la presenza delle piattaforme si concentra nelle città e tocca marginalmente le migliaia di piccoli comuni italiani. Questa attività ha generato nel 2022 un giro d’affari di 1,8 miliardi di euro, con un aumento del 20% rispetto all’anno precedente. Segno che il food delivery ha superato la fase di emergenza dei lockdown per trasformarsi in un’abitudine di consumo.
Ma chi ne trae il maggior beneficio? Il 79,8% dei ristoranti che si avvale del food delivery ha dichiarato ricavi in aumento fra 2020 e 2021 contro il 77,8% degli esercizi che non lo utilizza. Uno scarto di due punti percentuali che pare suggerire che la presenza sulle app non sia poi un grande affare. Manca però la controprova, ossia non si può dire quale sarebbe stato l’andamento degli affari dei ristoratori se non avessero adoperato i servizi delle piattaforme.
Di sicuro, però, c’è che nel 2021 le tre piattaforme leader, Just Eat, Glovo e Deliveroo, hanno fatturato nel complesso oltre 358 milioni in Italia, incrementando del 40% il risultato dell’anno precedente. Anche se i bilanci del 2022 non sono ancora disponibili, è probabile che i loro ricavi siano di nuovo saliti in misura più che proporzionale alla crescita del mercato italiano, siano cioè aumentati più del 20%.
Anni di concorrenza spietata, infatti, hanno ridotto il numero di operatori. La tedesca Gorillas, per esempio, ha lasciato l’Italia, mentre l’olandese Just Eat si è fusa con Takeaway e la spagnola Glovo ha comprato Foodinho. Questo consolidamento dovrebbe consentire alle piattaforme di raggiungere finalmente il profitto e, forse, potrebbe favorire un miglioramento delle condizioni di lavoro e retributive dei circa 30 mila fattorini alle dipendenze dell’algoritmo in Italia.
Ma a quale prezzo? Secondo il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, «esiste un pericolo di dipendenza tecnologica, economica e finanziaria delle imprese dalle piattaforme, che richiama, anche se in misura ridotta, lo stesso rapporto sbilanciato che queste hanno coi lavoratori».
Già ora le app di food delivery gestiscono gli incassi per due terzi dei ristoranti affiliati e nel 92% dei casi non li trasferiscono immediatamente al titolare. Oltre che un costo, nota l’istituto, il ritardo nel pagamento è un fattore di rischio finanziario per le imprese e comprova il potere negoziale delle piattaforme che, del resto, sono spesso in grado di imporre e modificare a piacimento le condizioni contrattuali.
La concentrazione del settore del food delivery può sbilanciare ulteriormente i rapporti di forza a favore delle piattaforme dominanti in Italia. Circa un quarto dei ristoranti, per esempio, dichiara già di non poter accedere alle informazioni riguardo ai propri clienti e ha quindi di fatto perso il controllo della relazione commerciale. Con tutte le conseguenze del caso: al 32% degli esercizi è così capitato almeno una volta di perdere clienti per disservizi causati dalle app.
Al mercato della ristorazione potrebbe così accadere quanto già successo nel turismo, dove poche piattaforme – in primis Booking.com e, in misura minore, Expedia – dominano già da tempo e sono impiegate dal 77% di affittacamere e dal 75% degli hotel. E dove alle commissioni di servizio si aggiungono le somme da pagare per comparire fra i primi risultati di ricerca sulla piattaforma, sotto pena di oblio informatico. L’algoritmo è un padrone esigente.
(da La Stampa)
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