DIMENTICATI IN MARE: PER 15 GIORNI UN GOMMONE DI DISPERATI VIAGGIA E POI AFFONDA NEL CANALE DI SICILIA SENZA CHE NESSUNO SE NE ACCORGA
L’OMISSIONE DI SOCCORSO E’ UN REATO, MA NON SONO STATE APERTE INDAGINI
Il Mediterraneo è un mare affollato, è probabile che qualcuno abbia visto l’imbarcazione in balia delle onde e non sia intervenuto. Ma l’omissione di soccorso è un reato”, denuncia Laura Boldrini portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Nessun radar li ha segnalati, nessun aereo li ha visti, nessuna nave li ha notati, nessun peschereccio li ha accostati, nessuno dei mezzi di pattugliamento Frontex si è accorto della loro presenza: 54 uomini e donne in fuga dalla violenza e dalla miseria arrivano su un gommone a ridosso delle coste italiane, vengono respinti dal vento verso il Nordafrica, e muoiono di sete.
Disidratati dopo 15 giorni di agonia, inghiottiti dal Canale di Sicilia: non hanno potuto portare a bordo neanche una bottiglia di acqua, per non appesantire l’imbarcazione, come ha rivelato l’unico eritreo sopravvissuto e ricoverato a Zarzis, in Tunisia.
L’omissione di soccorso è un reato, dice la Boldrini, eppure non sono state ancora aperte inchieste sulle due sponde del Mediterraneo, nè dalla Procura di Agrigento, nè dalla magistratura tunisina.
E, prima ancora, l’omissione di soccorso è una gravissima violazione della legge del mare; com’è possibile che ciò accada in un tratto di mare costantemente pattugliato da diversi Paesi?
Questa è la domanda che ci poniamo tutti — risponde la Boldrini — certamente occorre un maggiore coordinamento tra gli Stati, in tema di soccorso a mare i rapporti sono spesso affidati a canali confidenziali”.
Archiviato il governo Berlusconi, morto Gheddafi, la politica dei respingimenti ha subito un forte rallentamento, ed è ovviamente positivo, ma ciò ha probabilmente provocato un progressivo disinteresse verso la sponda sud dell’Europa, anche e soprattutto sul versante del soccorso a mare.
“L’accordo Italia-Libia prevedeva che chi veniva intercettato in alto mare, anche se non libico, fosse portato a Tripoli — dice la Boldrini — nel 2011 questa politica non è stata messa in atto e negli ultimi mesi i respingimenti — per quello che sappiamo — sono stati molti di meno e solo verso la Tunisia. Questo è senz’altro un dato positivo”. Accordi bilateriali tra Italia e Libia che comunque “non sono sufficienti a garantire il rispetto dei diritti umani” come sostiene Rita Borsellino in un’interrogazione alla commissione europea in cui chiede di “attivare in tempi rapidi azioni di cooperazione internazionale da parte dell’UE per assicurare il rispetto dei diritti umani”.
Concetti che il vescovo di Mazara Domenico Mogavero ha ripetuto al ministro per l’Integrazione e la Cooperazione Andrea Riccardi, chiedendo al governo di “fare più attenzione e prestare più riguardo alla dignità delle persone”.
Ma la tragedia dei 54 morti disidratati in mare testimonia che oggi non c’è nè accoglienza, nè respingimento, ma solo indifferenza: il Mediterraneo dell’estate 2012 è un tratto di mare “fai da te”, in cui i clandestini che si avventurano in cerca di un futuro migliore muoiono assetati davanti agli occhi di chi avrebbe potuto salvarli.
Chi può aver visto senza intervenire?
“Non penso alle unità militari o civili dei governi rivieraschi — risponde la Boldrini — penso ai privati, alle navi cargo o ai pescherecci che solcano continuamente quel tratto di mare. In passato chi ha condotto azioni di salvataggio a mare ha subito parecchi problemi, a volte anche azioni giudiziarie, oppure ha atteso per giorni in rada l’autorizzazione allo sbarco. E per loro sono giorni di lavoro persi”.
Non si è scoraggiato, per fortuna, l’equipaggio della motovedetta della Guardia di Finanza che la notte scorsa ha intercettato a 60 miglia a sud di Porto-palo di Capo Passero, nel Siracusano, un gommone con a bordo 50 immigrati, provenienti probabilmente dalla Libia, trasferiti a bordo del natante militare e sbarcati a Pozzallo, nel Ragusano.
A essere salvati, questa volta, oltre a donne e uomini, c’era anche una bambina di tre anni.
Giuseppe Lo Bianco
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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