DISGELO RENZI-BERSANI PER COMPATTARE IL PD: ORA UN CANDIDATO DELLA “DITTA” AL QUIRINALE
CRESCONO LE CHANCE DI FASSINO E VELTRONI
«Pierluigi ci dobbiamo parlare». «Matteo, io sono qua».
Il primo passo, ieri mattina, lo ha compiuto Renzi, com’era naturale che fosse. Per ricompattare il partito in vista del voto sul Quirinale il segretario ha incontrato ieri il più temibile – visto il seguito di cui ancora gode nei gruppi – dei suoi antagonisti interni.
Il più temibile, ma in fondo anche il più ragionevole: Pierluigi Bersani.
Complice l’inaugurazione della nuova sede della Granarolo, i due hanno avuto uno scambio di battute definito da entrambe le parti «affettuoso».
Di fronte allo sguardo benevolo del vescovo di Bologna, il primo a rompere il ghiaccio è stato Renzi. «Speravo fossi qui…».
Bersani, dopo un primo momento di freddezza, si è sciolto in un sorriso e ha liquidato giorni di attacchi e frecciatine con una battuta delle sue: «Eminenza, vedo che qui dentro avete messo insieme il diavolo e l’acqua santa!».
Il «diavolo», ovvero Renzi, ne ha approfittato subito; si è preso sottobraccio «l’acqua santa» Bersani e, allontanandosi dai ministri Galletti e Martina e dal presidente della regione Bonaccini, ha intavolato una rapida discussione con il leader della minoranza.
Per ora pare si sia trattato soltanto di una prima presa di contatto in vista dell’apertura della trattativa vera e propria.
Eppure, dopo gli attacchi della scorsa settimana da parte di Bersani, al premier premeva iniziare a stringere i bulloni del suo partito per iniziare a limitare l’area del possibile dissenso.
Come ripete ai suoi in questi giorni, per Renzi infatti «il problema non è Berlusconi, perchè comunque lui almeno una novantina di voti me li porta. Il problema sono le minoranze del Pd».
Per questo Bersani, con la sua autorevolezza e la sua storia, è considerato a palazzo Chigi come uno dei pilastri su cui far ruotare tutta la strategia.
E l’incontro di ieri mattina, al di là del contenuto, è comunque un segnale di disgelo che allenta le tensioni accumulate finora.
Non che gli elementi di distanza siano diminuiti, anzi.
Su alcuni dossier – su tutti la percentuale di eletti/nominati nell’Italicum – la minoranza bersaniana è decisa a non mollare di un centimetro.
Così come sul decreto fiscale e sui decreti delegati del Jobs act in arrivo lunedì alla Camera.
«Credo – ha buttato lì Bersani alla Granarolo a proposito del Jobs Act – che questa partita non sia finita. Credo che già nelle prossime settimane possa essere evidente come qualche correzione a queste norme possa essere fatta».
Non è un caso se ieri Cesare Damiano, altro esponente dell’ala dialogante bersaniana, abbia insistito su almeno tre punti da modificare nel decreto che riguarda il contratto a tutele crescenti: «I licenziamenti collettivi, la tipizzazione dei licenziamenti disciplinari e l’indennità ».
Questa e altre portate dovranno far parte della trattativa sul Quirinale e se Renzi vuole arrivare al quarto scrutinio con la maggioranza dei 450 voti dem assicurati qualcosa dovrà concedere
Ma le premesse, a sentire il segretario, ci sono tutte.
Non soltanto perchè il capo del governo riconosce a Bersani di «essersi comportato bene, a differenza di altri, anche sulla vicenda del decreto fiscale», un colpo che a Palazzo Chigi hanno accusato molto.
Il fatto è che il premier ormai si è convinto che l’unica condizione che possa tenere unito il partito è quella di sottoporre ai grandi elettori «uno della Ditta».
Che ci sia arrivato per scelta o perchè soltanto così può sperare di uscirne senza rompersi le ossa, il segretario ha comunque preannunciato questa novità agli intimi: «Per chiudere un accordo proporrò uno della Ditta».
Un’anticipazione importante, in grado di azzerare tutti i contatori e restringere la rosa dei papabili a pochi nomi, se la definizione renziana di “Ditta” è la stessa che usa Bersani, ovvero la provenienza ex Pci. Di nuovo si torna a Walter Veltroni, ma anche a Piero Fassino o Anna Finocchiaro.
Mentre lo stesso Bersani, troppo in prima linea, sarebbe fuori dalla corsa.
In ogni caso all’elezione del successore di Napolitano bisogna ancora arrivarci.
Perchè il capo dello Stato, come ricorda ogni giorno Renzi, «ancora è al suo posto ».
Una forma di rispetto ma anche una speranza, quella che Napolitano voglia e possa allontanare di qualche giorno la data delle sue dimissioni.
Nel silenzio del Quirinale, negli ambienti renziani si coltiva ancora l’idea che il Presidente possa concedere un po’ di tempo in più per consentire al Senato di approvare l’Italicum e alla Camera la riforma costituzionale.
Solo qualche giorno in più. La voce di un breve rinvio delle dimissioni è tornata nuovamente a rimbalzare tra i palazzi, alimentata dal momento particolare legato all’emergenza terrorismo.
Un fronte che Napolitano continua a presidiare, come dimostra la lunga telefonata avuta ieri con il capo dello Stato francese Franà§ois Hollande proprio sulla strage a Charlie Hebdo.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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