“ERO UN INTRUSO, OGGI SONO DOGMAN”: INTERVISTA A MARCELLO FONTE, PROTAGONISTA DEL “CANARO” DI GARRONE IN CONCORSO A CANNES
“SOGNAVO IN SILENZIO L’ARTE DA UNA CANTINA OCCUPATA, MI IMBUCAVO SUI SET PER MANGIARE IL CESTINO”… “QUESTO FILM E’ UN UNIVERSO D’AMORE”
“Sognavo in silenzio l’arte da un cantina occupata e mi imbucavo sui set per mangiare il cestino. Ero un intruso”.
Marcello Fonte è il protagonista di Dogman, il fim di Matteo Garrone in concorso a Cannes, si racconta in questa video intervista esclusiva ad HuffPost.
E dice: “Oggi mi piace vivere nei film perchè la vita reale mi ha stancato, è troppo difficile. Garrone? È un artigiano, il primo spettatore. Abbiamo fatto un film che è un universo d’amore”.
Alla fine l’asino l’ha spiccato il volo, con un raglio liberatorio, con voce panciuta e un filo schizofrenica. Voce e sguardo puntati a un tanto così dalla telecamera, di striscio per non farsi rubare l’anima, almeno non tutta quanta.
La storia di Marcello Fonte, alias Asino, dal film che ha scritto sulla sua storia, ha un che di favola, di neorealismo ancora vivo, ci trovi dentro Umberto D. e Miracolo a Milano, Mamma Roma e Brutti sporchi e cattivi, ci trovi dentro Verga, Victor Hugo.
Oggi Marcello al telefono parlava di un vestito, uno smoking, non sapeva nemmeno pronunciarlo bene, smochi diceva, e com’era leggero mentre lo diceva. Lo smochi per Cannes, il tappeto rosso, il cinema quello grande, con le luci grandi, con gli schermi grandi.
A raccontare la storia di Marcello Fonte si rischia di sconfinare nella banalità ad ogni riga, ad ogni parola, immaginate che io adesso scriva: – Marcello sta per andare a Cannes, protagonista dell’ultimo film di uno dei pochi geni ancora vivi in Italia, Matteo Garrone, ma è rimasto quel bambino che giocava nella discarica in cui è cresciuto…-
Ma nel mentre l’ho scritto e nessuno se ne è accorto. Cresce davvero in una discarica in fondo alla Calabria, nel fondo della punta di uno stivale mai omogeneo, una infanzia che è già un film. Il bambino piccolo di statura e sempre sporco dello sporco di cui gli altri si liberano in discarica.
La solitudine è primaria, i giocattoli veri pochi, pochissimi e allora Marcello comincia ad inventare il suo mondo, lo costruisce mettendo insieme pezzi di vite d’altri e immaginazione sua, parla con Dio che però confonde spesso con il suo Io, un dio senza D, la D di Umberto probabilmente.
Quando racconta di quel bambino è bellissimo notare che lo fa in terza persona, con gli occhi leggermente lucidi, come se stesse raccontando un personaggio. Alterna i racconti Marcello, poichè la narrazione vuole alternanza, cambio di registro.
Quindi appena la tragedia comincia a diventare mono tono, racconta di quando è stato investito da una 112, non si ricorda bene il colore ma pare fosse arancione, per un pezzo di pizza con le olive, mentre attraversava la strada.
Ed è questa la seconda volta che Asino vola, sbalzato da quella macchina. Poi il coma, tre giorni, e poi resuscita, ma appena sveglio la prima cosa che dice è: voglio morire!
In una nota a piè di racconto aggiunge che l’investitore, preso dal panico e dal rimorso, propose alla madre come risarcimento la 112 arancione.
Il bambino nonostante tutto cresce, non troppo ma cresce, vuole fare il meccanico, costruire, ha sviluppato tecnica e capacità , sa riconoscere uno scarto da un rifiuto, ciò che può avere una nuova vita da ciò che andrebbe sepolto per sempre, come i ricordi che fanno male al cuore e alla testa.
Cresce col tamburo che suona nella banda al posto del flicorno che i genitori non sono riusciti a comprare, pure il tamburo se lo deve aggiustare da solo.
A Roma il fratello fa lo scenografo, lo raggiunge per uno spettacolo, serve un musicista di strada per tre giorni, quei tre giorni durano ancora oggi, vent’anni dopo.
Ma serve una sistemazione, e Marcello trova una cantina di 14 metri quadrati, senza alcun servizio, nè acqua nè luce. Senza bagno. Impara ad usare i giornali e le bottiglie di plastica, ma quelle da tè che hanno il boccaglio più largo.
Serve un lavoro, prima aiuto scenografo, attrezzista. Abituato a gestire i materiali, riesce bene, impara il mestiere, scopre l’avvitatore. Un oggetto del diavolo o di Dio non sa ancora decidere. Una vite può essere avvitata in due secondi e senza fatica, la cosa migliore che l’uomo abbia inventato, l’avvitatore, ce ne dovrebbe essere uno in ogni famiglia sostiene.
Mentre inchioda cantinelle sui set, una strana forza lo attira verso l’altro lato dell’occhio magico, sotto le luci calde e accecanti, si imbuca fra le comparse vere e riesce a farsi vestire per il film, così che il capo comparsa fa prima ad inserirlo che a cacciarlo. Fulminato sulla via di Cinecittà , la nuova vita di Marcello prende il volo, Asino vola per la terza volta.
I cestini del cinema gli consentono di vivere, le esperienze si accumulano, sempre piccole cose, ma sempre presente. Lavora per tre mesi in Gang of New York, convinto che il regista fosse Scozzese della Scozia e non Scorsese delle Americhe. Resosi conto dei suoi limiti, comincia a studiare, ha sempre preso tutto sul serio Marcello, specialmente il cinema.
Matteo Garrone ha colto nel segno di nuovo, non sbaglia un colpo, Dogman si preannuncia come l’ennesimo capolavoro di un artigianato d’arte vera, con un regista di un altro mondo e un attore di altri tempi.
Adesso Asino sta per volare di nuovo, verso Cannes. Quando chiude la telefonata con la tizia dello smochi, sembra un po’ dispiaciuto, ha realizzato che non potrà vestirsi con il giubbotto leopardato che aveva addosso quando ci siamo conosciuti. Secondo lui non avrebbe sfigurato sul Red Carpet.
(da “Huffingtonpost”)
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