FARSA CONTRO I MIGRANTI, DA TIRANA FINO A PALERMO
L’IRA FUNESTA DEI NOSTRI GOVERNANTI CONTRO I “GIUDICI COMUNISTI”
Giudici comunisti! Si abbatta ordunque sui magistrati di Roma, di Palermo e pure di Lussemburgo, l’ira funesta dei nostri governanti, ministri del popolo intralciati nell’adempimento del primo impegno assunto di fronte agli elettori: erigere barriere contro l’invasione dei migranti. Senza curarsi neanche, le subdole toghe rosse, degli attestati di stima pervenuti a Meloni e Salvini dall’estero per questa loro meritoria azione. Non solo dal sovranista Orbán, dal genio americano Musk, dalla presidente europea Von der Leyen, ma perfino dal laburista britannico Starmer.
Fra l’Albania e la Sicilia, nella giornata di ieri, il “modello italiano” s’è manifestato nella forma teatrale della commedia dell’arte. Dodici ignari sfigati del Bangladesh e d’Egitto acciuffati in mezzo al mare e destinati a inaugurare una struttura detentiva extraterritoriale nuova di zecca, nel ruolo degli invasori posti in condizione di non nuocere. Respinte con finto esame accelerato le domande d’asilo, ma per espellerli bisogna prima farli entrare in Italia. L’altra grottesca sceneggiata ha visto schierarsi al grido di “Matteo, Matteo” un manipolo di leghisti in una piazza di Palermo dove sventolavano l’articolo 52 della Costituzione – “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” – confidando sulla certezza che gli invasori in questione, sempre loro, i migranti, ignorano che fossero stati secessionisti fino all’altroieri. Naturalmente tutti sanno che, quand’anche condannato, Salvini non farà mai neanche un giorno di galera; ma il coraggio con cui vietò lo sbarco del centinaio di pericolosi individui trasportati dalla Open Arms lo rende meritevole di medaglia agli occhi di una cospicua quota di opinione pubblica.
A far bene i conti, risale a trent’anni fa abbondanti la prima volta di un leghista a capo del Viminale (Roberto Maroni) e in quel governo stava già anche la destra della giovane Meloni. Niente di nuovo sotto il sole del Mediterraneo: quali risultati abbia riscosso la linea securitaria, consistita essenzialmente nel blocco dell’immigrazione regolare programmata, chiunque di destra o sinistra si succedesse al governo, è sotto gli occhi di tutti. Ma nel frattempo qualcosa di nuovo succedeva, eccome, prima di tutto sul piano culturale. Man mano che la questione migratoria assumeva centralità nel dibattito pubblico, e l’età media s’innalzava fino al triste primato di 48 anni, e il sistema economico s’inceppava di pari passo con le prestazioni del welfare, appariva sempre più ragionevole chi sprezza come sottouomini i pretendenti al suolo italiano, non meritevoli di cittadinanza neppure dopo dieci anni di residenza; mentre liquidava come cosmopolita modaiolo chi si preoccupa dei loro diritti. È una storia che conosciamo tutti e che ci ha perfino un po’ stufato, desensibilizzati come siamo dalle catastrofi umanitarie abbattutesi una dopo l’altra dai Balcani, dal Medio Oriente, dall’Africa. Seguite in casa nostra da singoli episodi di crudeltà (il bracciante dissanguato a Latina, lo scippatore investito a Viareggio), furie e psicosi collettive, ricoperte infine dalla melmosa coltre dell’abitudine. Se Salvini al principio della scorsa legislatura voleva impersonare la “cattiveria al governo”, Meloni con la trovata dell’hotspot all’estero ha pensato di dare corpo al miraggio dei benpensanti: non gli facciamo neanche mettere piede in Italia, ai clandestini. Altrettanto emblematica, benché facilmente aggirabile, la norma dell’ultimo decreto Sicurezza che vieterebbe ai tabaccai di vendere schede telefoniche agli stranieri privi di permesso di soggiorno. Compiacerà parecchi, ne sono sicuro, questa forma di vessazione apparentemente superflua, ma funzionale alla degradazione di chi si vuole stigmatizzare.
Non dimentico certo che fra il vecchio Maroni bossian-berlusconiano e l’attuale destra di governo, al Viminale ci sono passati anche Napolitano e Minniti. Una sinistra che si autoproclamava sensibile al disagio delle classi subalterne quando seguiva il solco tracciato dalla destra. È successo così, fino alla metamorfosi, in quel laboratorio di socialdemocrazia xenofoba che è diventata la Danimarca. Sta succedendo nella sinistra tedesca dove la Bsw di Sahra Wagenknecht (diffidare sempre dei partiti che prendono il nome del loro capo) cresce teorizzando “più Stato sociale, meno immigrazione”, rievocando nostalgicamente la classe operaia bianca del tempo che fu, lei sì davvero progressista ma ora ridotta a minoranza; da veteromarxisti che rinnegano l’internazionalismo proletario. È quello che Enrico Gargiulo, Enrica Morlicchio e Dario Tuorto, autori del saggio Prima agli italiani (Il Mulino) chiamano “lo sciovinismo del welfare, che considera gli immigrati un salasso delle risorse della nazione”. La politica del malumore che va a sbattere sulle normative di civiltà.
(da Il Fatto Quotidiano)
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