FIRENZE, LA ROCCAFORTE RENZIANA FEDELE AL SUO LEADER
IN TOSCANA IL PD RESTA IL PRIMO PARTITO, MA NON CI SONO PIU’ GARANZIE PER NESSUNO
La Toscana, Firenze.
Il “centro di gravità permanente” di Matteo Renzi direbbe Franco Battiato, che nel 1981 incluse questo famoso brano nell’album “La voce del padrone”.
E la voce del padrone l’ex premier è andato a farla sentire ai fiorentini il 25 aprile, in piazza Santa Croce a chiedere un’opinione su un governo con il Movimento 5 Stelle.
I no ai grillini si sono sprecati, e il segretario dimissionario li ha offerti ai giornalisti come prova che l’accordo non s’ha da fare.
Nel merito si pronuncerà la direzione convocata per il 3 maggio e in Toscana, come nel resto d’Italia, la divisione tra “aperturisti” e “aventiniani” c’è e si sente.
Nella terra del “Giglio magico” il partito non è contendibile. Il fronte renziano si mostra compatto sul no ai 5 Stelle, mentre chi fa riferimento ad Andrea Orlando vorrebbe andare a vedere le carte in mano a Luigi Di Maio.
Alle scorse elezioni politiche il Pd toscano è riuscito a rimanere in piedi.
Il 4 marzo è stato il primo partito con quasi il 30 per cento dei voti e il centrosinistra ha superato il centrodestra nella sfida tra coalizioni.
Ciò nonostante il segretario regionale dem, il renziano Dario Parrini, ha dato le dimissioni. A Firenze il Pd ha trionfato superando il 35 per cento e lo stesso Renzi ha conquistato senza problemi un seggio al Senato.
La città è governata da Dario Nardella, vice di Renzi ai tempi di Palazzo Vecchio.
Nel 2017 il partito cittadino aveva 3500 iscritti, quello regionale oltre 40 mila. C’è una cosa sulla quale a Firenze non si transige. Prima di sedersi al tavolo, i 5 Stelle dovrebbero rimangiarsi le critiche sui governi a guida dem.
“Dicano che la riforma costituzionale era giusta e che oggi paghiamo il conto del no al referendum”, dice il segretario del Pd fiorentino, Massimiliano Piccioli. Piccioli ha scritto una nota nella quale dice di aver trovato “un popolo unito nel respingere ogni forma di accordo con il Movimento 5 Stelle”.
Lui però non chiude a priori al negoziato: “Ma se non si passerà da una consultazione degli iscritti allora mi dimetterò”, sottolinea.
Poi aggiunge: “La politica è fatta di fasi. Quello che inizialmente sembrava impossibile può sembrare possibile”. Sabato scorso a Firenze c’era Andrea Orlando, che ha partecipato a un’iniziativa della minoranza. Chi fa parte dell’area del ministro della Giustizia non chiude ai grillini. “Nessuno ci ha mandati all’opposizione, il sistema elettorale non lo prevede. Abbiamo il dovere di capire se ci sono dei margini, anche se i Cinque stelle sono molto lontani dalla nostra politica”, dice la consigliera comunale Cecilia Pezza.
La compattezza della roccaforte toscana è essenziale per Renzi. Non a caso “ha annunciato la Leopolda di ottobre in largo anticipo. E lo ha fatto per lanciare un messaggio, come a dire: io sono sempre qui”, spiega un esponente regionale del Pd. Fino all’apparizione di Renzi a Firenze, nelle conversazioni private tra i dem toscani non si registrava un accanimento sulla linea del no. Poi è cambiato tutto.
Antonello Giacomelli, vicino a Luca Lotti, ha invitato il segretario dimissionario a riprendere le redini del partito. Anche il capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci, originario della provincia di Lucca, continua a dire no al governo con Di Maio.
In Regione Toscana non si registrano cedimenti rispetto alla linea di chiusura: “Veniamo da una campagna elettorale e da anni nei quali il Movimento 5 Stelle identificava il Partito democratico come il partito della casta”, dice il presidente del Consiglio regionale, Eugenio Giani. Adesso, aggiunge il consigliere di area renziana, “non si può cambiare perchè il Movimento non ha raggiunto la maggioranza e ha bisogno di qualcuno che gli faccia un po’ da ruota di scorta”.
Per il no si è schierato anche il governatore Enrico Rossi, tra i protagonisti della scissione che ha dato vita a Liberi e uguali: “A sinistra decidano gli iscritti. Io sono contrario e penso che alla fine non si farà “, ha scritto su Facebook a proposito dell’accordo con i grillini.
Da quando Parrini ha dato le dimissioni, il partito regionale è retto da cinque persone. Tre sono espressione della maggioranza e due della minoranza interna. Tra i reggenti c’è l’orlandiano Valerio Fabiani: “Io sono a favore del negoziato, perchè nelle condizioni date porterebbe al miglior governo possibile”.
La priorità , spiega, è “rovesciare lo schema populisti- anti populisti, spazzato via da elettori il 4 di marzo. Non ci siamo accorti che sotto la voce populisti c’è un pezzo del nostro elettorato”. Serve “ragionare su uno schema esclusi-inclusi, e pensare a come far tornare gli esclusi dalla nostra parte”. È su posizioni opposte un altro dei reggenti, il sindaco di Prato Matteo Biffoni: “Pur facendo lo sforzo di mettere da parte le offese anche aggressive che in questi anni ci hanno rivolto, io faccio fatica a vedere i punti di un accordo”.
C’è un abisso tra 5 Stelle e Pd: “Vorrei fare un ragionamento politico su Jobs act, Europa, vaccini, diritti civili, euro, politica internazionale. Mi sembra che le posizioni siano enormemente distanti”.
A giugno si elegge il sindaco a Massa, Pisa e Siena. “Non ci sono più garanzie per nessuno”, sintetizza Biffoni. Livorno è già passata ai 5 Stelle, e tutti nel Pd si aspettano che anche Massa diventi città grillina. Pistoia, Arezzo e Grosseto sono in mano al centrodestra.
Tutta la zona costiera, nella quale i renziani sono più deboli, è diventata terra di conquista per avversari che un tempo non avevano speranze di vittoria. “E l’anno prossimo rischiamo di perdere anche la Regione”, commentano preoccupati dal partito.
Ai dem piacerebbe gridare “No Pasarà¡n”, ma i nemici sono già passati.
(da “Huffingtonpost“)
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