FIRME FALSE M5S: GLI INTERROGATORI DEI 5 DEPUTATI GRILLINI A PALERMO
LA NOTIZIA SAREBBE STATA TENUTA NASCOSTA ALLO STAFF DEL M5S… IL CASO DEL VICEQUESTORE AMICO DEI GRILINI CHE HA TRATTENUTO IL GIORNALISTA DELLE IENE MENTRA LA DIGOS PERQUISIVA LA SUA ABITAZIONE SENZA MANDATO SPECIFICO
La pazienza di Beppe Grillo è finita: i deputati 5 Stelle siciliani coinvolti a vario titolo nel caso delle firme false di Palermo potrebbero essere sospesi già nelle prossime ore o nei prossimi giorni.
«Ne va della nostra credibilità » ha spiegato il comico. E la notizia che quattro di loro (un altro lo sarà questa mattina) sono stati ascoltati come persone informate sui fatti in Questura a Roma, dovrebbe solo accelerare gli eventi, anche perchè sarebbe stata tenuta nascosta allo staff del M5S.
A essere ascoltati sono stati tre deputati tra i cinque coinvolti, più Andrea Cecconi, presidente del gruppo dei grillini a Montecitorio, l’unico non siciliano, convocato dopo l’intervista a Libero in cui definiva «errori veniali» le firme false.
Dopo di lui si sono alternati davanti al pm salito a Roma da Palermo Giulia Di Vita, Loredana Lupo e Chiara Di Benedetto, mentre oggi dovrebbe essere interrogato Riccardo Nuti.
Non si sa invece ancora quando verrà sentita Claudia Mannino, la deputata su cui pende l’accusa più compromettente.
È lei che il superteste Vincenzo Pintagro dice di aver beccato a falsificare materialmente le firme assieme a Samanta Busalacchi, la grillina che ha visto sfumare la sua candidatura a sindaco di Palermo.
Sapere di più deputati varcare l’ingresso della Questura non è certo un’immagine che fa piacere, con il Pd e Matteo Renzi pronti a sfruttare ogni minima debolezza del Movimento in vista del referendum.
Ieri il premier si è scagliato duramente contro i 5 Stelle: «Sono sempre così quando una cosa riguarda gli altri gridano, urlano, sbraitano, quando riguarda loro fan finta di nulla. Le firme false sono una cosa clamorosa e sono una dimostrazione che sono uguali agli altri partiti».
Renzi sa, come lo sa Grillo, che lo scandalo palermitano nato da un’inchiesta della trasmissione tv Le Iene può varcare facilmente i confini dell’interesse locale e diventare una grana nazionale bella grossa per il M5S.
Questo è l’unico vero fronte scoperto, a oggi, per i grillini.
E il Pd ne approfitta chiedendo di sapere chi sono i deputati indagati. In realtà , tra i palermitani e lo staff c’è stata totale rottura.
I grillini hanno rifiutato la richiesta di autosospendersi piovuta direttamente da Grillo. Ma potrebbero comunque essere costretti a un passo indietro: di sicuro qualora arrivassero gli avvisi di garanzia.
La vicenda ha però, in parallelo, altri contorni da chiarire.
Dopo quella del Pd, un’altra interrogazione parlamentare al ministero dell’Interno, questa volta dell’ex senatore 5 Stelle Bartolomeo Pepe, verrà presentata per fare luce sui legami tra il vicequestore della Digos Giovanni Pampillonia e il M5S.
La richiesta di Pepe parte dall’articolo della Stampa di ieri, ma si lega a un’altra interrogazione del senatore, dello scorso 20 ottobre in cui si parlava della segnalazione anonima arrivata alla redazione delle Iene dove tra le tante cose si rivelavano dettagli sconosciuti riguardo alle prime indagini sulle firme false, del 2013, subito archiviate.
L’anonimo segnala che a dirigerle era un funzionario della Digos con amicizie e parentele nei 5 Stelle. E lo descrive come «alto con naso lungo, irregolarità nel volto e somiglianza con l’attore Antonio De Curtis, in arte Totò».
Le Iene puntano su Giovanni Pampillonia che effettivamente ha un cugino candidato alle comunali del 2012.
Dopo il servizio, l’inviato Filippo Roma viene convocato in Questura a Palermo. E qui, come raccontato da Roma alla Stampa, viene «trattenuto per tre ore» e «senza un avvocato»: il motivo è la notifica per la consegna di materiale probatorio che si trova a casa dell’inviato nella Capitale.
Pampillonia chiede a colleghi della Digos romana di andare a casa della “iena” dove non si limitano a prelevare solo quanto richiesto dai pm.
Perchè Pampillonia, secondo Roma, e come è riportato nella nuova interrogazione di Pepe, «ha ordinato telefonicamente ai funzionari di cercare altri documenti nell’abitazione del conduttore, acquisendo anche la segnalazione anonima pervenuta nella quale veniva citato Pampillonia quale parte chiamata in causa del misfatto». Cioè quell’esposto in cui, come unica traccia, si parlava di un funzionario della Digos che assomigliava a Totò.
(da “La Stampa”)
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