GIORDANO BRUNO GUERRI: “D’ANNUNZIO NEL 1900 TRANSITÒ DALLA DESTRA STORICA ALLA SINISTRA PER PROTESTARE CONTRO LA SANGUINOSA REPRESSIONE DEL GENERALE BAVA BECCARIS. RIVENDICÒ LA LIBERTÀ PER I DEPUTATI DI MUTARE OPINIONE”
“FU L’INVENTORE DEI BENI CULTURALI, LA SUA OPERA È LA FUCINA DELLA NOSTRA MODERNITÀ CULTURALE E POLITICA” …EDONISTA, COCAINOMANE E EROTOMANE, DISSE NO ALL’ALLEANZA DI MUSSOLINI CON HITLER: “IL MARRANO DALL’IGNOBILE FACCIA, PAGLIACCIO FEROCE”
Mussolini e d’Annunzio? Hanno assai poco in comune. La figura di Gabriele d’Annunzio è ancora oggi oscurata da una marea di pregiudizi». No, il Vate, che venne definito il Giovanni Battista del fascismo, non fu per nulla al fianco del Duce nell’edificazione e nel consolidamento del regime. Andando controcorrente e contestando tanta produzione storiografica, Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale degli Italiani, tra i massimi esperti della storia e delle opere del poeta-soldato, da anni è impegnato a restituirci, priva di preconcetti, la figura del giornalista, politico, lirico, drammaturgo e romanziere, nonché uno degli scrittori italiani più ammirati all’estero.
In questi giorni, Guerri è al lavoro per allestire un’insolita mostra (curata da Andrea Baldinotti) che si terrà al Vittoriale, la storica dimora del poeta. Arriverà al lago di Garda, proveniente dagli Uffizi di Firenze, una raccolta di capolavori artistici (circa una trentina). Sono le tele a cui si è ispirato d’Annunzio nei suoi soggiorni fiorentini e che per la prima volta – a partire dal 9 marzo – verranno esposte insieme ai manoscritti di poesie, drammi e narrativa dello scrittore per il quale sono state fonte di illuminazioni.
Nell’opera del Vate la relazione tra immagini e parola scritta è molto stretta: Guerri è pronto alla sfida per farci comprendere quanto sia moderna e anticipatrice la sensibilità estetica dell’autore di Pescara. Altro che romanità e gagliardetti: D’Annunzio è la fucina della nostra modernità, questa è la linea interpretativa che guida da anni la ricerca del suo biografo.
Qual è l’attualità del “rivoluzionario”, come il poeta veniva definito da uno che di rivoluzioni se ne intendeva, Vladimir Ilic Lenin?
«Con la sintesi di letteratura e vita, di comportamento provocatorio e produzione di testi apprezzati dai maggiori autori a livello internazionale, da Proust a Hemingway, d’Annunzio ha rivoluzionato il modo di sentire e di essere della società italiana e l’ha influenzata arrivando fino ai nostri giorni. Nel 1904 confidava a Eleonora Duse il bisogno “imperioso della vita violenta, della vita carnale, del piacere, del pericolo fisico, dell’allegrezza”. Edonista, cocainomane ed erotomane, non sublimava l’eccesso ma lo praticava.
Trasformando la sensibilità collettiva, anticipava, per esempio, una delle nostre maggiori conquiste, la libertà di scelta nell’amore e nell’eros. Per secoli non è mai stato così. Ma oggi per la prima volta nella storia, anche grazie all’esempio anticonformista di d’Annunzio, siamo privi d’insensate barriere morali e possiamo individuare i nostri partner senza pregiudizi o limiti di nessun tipo. È stato inoltre un apripista anche sulla strada del consumismo.
Il gusto della lussuria si accompagnava nel dandy a quello del lusso. Spendaccione e maestro di eleganza, provava un’attrazione fatale per i beni materiali. Aveva creato una nuova marca di profumo, Aqua Nuntia, convinto che si sarebbe venduta in quanto associata al suo nome. Era un mago del marketing, un influencer che però non condizionava le masse bensì la classe dirigente, le élite».
Era un genio della politica e della comunicazione?
«Ipnotizzatore delle folle, ebbe tanti punti di contatto con i futuristi ma fu anche un precursore della politica attuale. In Parlamento, nel 1900, facendo molto clamore transitò dalla destra storica alla sinistra per protestare contro la sanguinosa repressione dei moti popolari da parte del generale Bava Beccaris. Rivendicò la libertà per i deputati di mutare opinione: “Di là i morti, vado verso la vita”, disse. Analogamente, almeno la metà dei nostri politici in quest’ultima legislatura ha praticato il cambio di casacca. Lanciò volantini su Vienna e altre città: da allora le aviazioni di tutto il mondo hanno cominciato a fare propaganda allo stesso modo e, da ultimi, gli americani in Afghanistan».
Torniamo allo stretto rapporto con il fascismo e Mussolini. Pregiudizio o verità?
«Pregiudizio originato dal fatto che il futuro Duce, che pativa molto il carisma del Vate, si appropriò di riti e miti creati dal poeta-guerriero. Quando nel 1919 i legionari guidati da d’Annunzio presero possesso di Fiume, contesa tra l’Italia e la Jugoslavia, lo scrittore impresse grande vitalità a quell’occupazione.
All’attuale governo di destra cosa può insegnare il letterato-politico?
«Non solo per questo governo ma per tante istituzioni d’Annunzio deve essere un punto di riferimento. È un maestro di audacia. Al momento di essere eletto deputato, nel 1897, si presentò come “il candidato della Bellezza”, spiegando che la ‘fortuna d’Italia è inseparabile dalle sorti della Bellezza, cui ella è madre nei secoli’. Fu l’inventore dei Beni culturali, non è poco».
Nazionalismo dannunziano e sovranismo attuale: c’è un rapporto?
«Il tratto in comune con il Duce fu l’ideologia nazionalista. D’Annunzio condivise la mussoliniana campagna di Etiopia, desideroso di ampliare i possedimenti della nazione, ma fu contrario all’intervento in Spagna e all’alleanza con Hitler, “il marrano dall’ignobile faccia offuscata sotto gli indelebili schizzi della tinta di calce… pagliaccio feroce”, come lo definì. D’Annunzio voleva recuperare all’Italia Trento, Trieste e la Dalmazia, il sovranismo è altra cosa, è nato come reazione all’unità europea».
Il Vate si può considerare un esempio di libertarismo per i giovani del 68?
«I giovanissimi legionari di Fiume e i ragazzi delle barricate di Roma e Parigi volevano cambiare il mondo. In entrambi i casi si è trattato di un empito rivoluzionario senza un orizzonte preciso, tipico anche dell’avanguardista coraggioso. Per questa e tante altre eredità e condizionamenti oggi non possiamo non dirci dannunziani».
(da “la Stampa”)
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