“MIO PADRE NON ERA MASSONE, TROPPO CATTOLICO. E GLI PIACEVA MOLTO SPIARE…”: LA FIGLIA ANNA MARIA RACCONTA FRANCESCO COSSIGA IN UNA INTERVISTA A ALDO CAZZULLO
SOFFRI’ PER ALDO MORO (“L’HO UCCISO IO”), FRANCESCA MAMBRO E GIUSVA FIORAVANTI “PER LA STRAGE DI BOLOGNA LI CONSIDERAVA INNOCENTI”… “UNA VOLTA TROVAI IN CASA LA BRIGATISTA FARANDA: “MI DISSE LO STATO DEVE FARE PACE CON I TERRORISTI SCONFITTI”
Anna Maria Cossiga, qual è il primo ricordo di suo padre Francesco?«Siamo bambini a Sassari, io e mio fratello Giuseppe, di due anni più piccolo, e babbo per divertirci ci fa la casette di carta. Lo rivedo chino a ritagliare il cartone, aprire le finestrelle, mettere il cellophane al posto dei vetri…».
Il suo mentore era stato Giovanni Battista Montini.
«Sì. Ma poi aveva legato molto con Ratzinger, prima ancora che diventasse Papa. Quando fu eletto Wojtyla ci invitò a colazione, con tutta la famiglia. Lo ricordo gioviale, aperto, divertente. Mi chiese: “Quanti anni hai?”. Diciassette, Santità. “Ecco, adesso cominciano i guai”».
Lei quindi non ha mai votato Dc?
«No, sono sempre stata di sinistra, senza rimorsi; anche perché la prima volta votai solo per la Camera e babbo stava in Senato. Avevamo discussioni molto accese, molto libere. Una volta in un ristorante di Londra ci guardavano preoccupati, pensavano che stessimo bisticciando… Ma lui rispettava le mie idee. Anni dopo con un amico gallerista facemmo una mostra con le foto di tutte le scritte sui muri contro di lui: Kossiga con la kappa, Cossiga babbeo beccate ’sto corteo…».
Come reagì?
«Si divertì molto. Era severo su altre cose».
Quali?§«Mio fratello poteva andare in discoteca, io no: “Figlia mia, una brava ragazza in discoteca non ci va”. Quando feci il primo buco nelle orecchie si arrabbiò molto: “Figlia mia, cosa ti è venuto in mente, sembri una selvaggia!”. Quando feci il secondo ero già sposata, e lui disse a mio marito: “Adesso è un problema tuo”».
Era geloso dei suoi fidanzati?
«Sì. Difficilmente gli piacevano».
Con Andreotti com’era il rapporto?
«Un po’ freddo. Però quando mi stavo laureando, con una tesi sugli ebrei romani, babbo mi mandò da lui, dicendo che mi avrebbe indicato fonti e testimoni. Andreotti fu gentilissimo. Ogni tanto andavo a prendere il caffè con lui al Senato. Quando poi finì sotto processo, babbo lo difese a viso aperto. Era certo che le accuse fossero del tutto infondate».
A casa si parlava di politica?§«Molto. Anche di teologia. Di storia. E del conflitto israelo-palestinese».§
Suo padre come la pensava?
§«Babbo era sionista. Con Israele sino alla morte. Anch’io ero abbastanza filoisraeliana. Mio fratello invece era filopalestinese».
E del fascismo cosa diceva?
«Lo considerava il male assoluto. Veniva da una famiglia fortemente antifascista».
È vero che era massone?§«Suo nonno Francesco era massone: trentatré di rito scozzese. Lui no: troppo cattolico. Però andava orgoglioso del nonno».
Chi era Moro per Cossiga?
«Il maestro di politica. Aveva per lui grande ammirazione e grande affetto».
Con suo padre ho fatto molte interviste. L’unica che volle rileggere fu quella sul rapimento Moro. Mi disse che a un certo punto il governo l’aveva dato per perduto.
«È così. Proprio per questo babbo era umanamente disperato. Si decise di anteporre lo Stato. Lui era d’accordo, ma fu un colpo terribile. Subito gli venne questo ciuffo di capelli bianchi…».
Lei come apprese la notizia del sequestro?
«Avevo 17 anni, ero a scuola dalle suore irlandesi. La professoressa di latino e greco mi vide e disse: ma come, non sono ancora venuti a prenderti? Avevo la scorta, cambiavamo sempre strada per andare a scuola».
Come ricorda quei giorni?
«Babbo non c’era quasi mai. Ne parlammo poco. Quando giunse la notizia dell’assassinio ne soffrì enormemente. Ogni tanto ripeteva: “L’ho ucciso io”. E non nel sonno, com’è stato scritto. Da sveglio».
Si dimise da ministro dell’Interno, ma un anno dopo era presidente del Consiglio. Non aveva mai pensato a lasciare davvero la politica?
«No. La passione politica lo possedeva».
Aveva anche una grande passione per lo spionaggio.
«Sì, perché gli piaceva spiare. Lui stesso era un gran ficcanaso. Amava scoprire cose che altri non potevano sapere. Quando scoppiò la prima guerra del Golfo, babbo era già al Quirinale, io in America. Pensai di rientrare. All’aeroporto di New York notai quattro tizi che mi tenevano d’occhio, avevano le borse di un negozio dove gli italiani andavano a comprare gadget elettronici: erano palesemente uomini dei servizi segreti. Anni dopo ho scoperto che papà l’aveva battezzata “operazione Biancaneve”. La fanciulla tornava a casa».
Aveva continuato a seguire i suoi studi?
«Sono antropologa, ma iniziai l’università studiando storia delle religioni. Con un compagno stavamo ripetendo la parte sui popoli primitivi, in particolare gli zulu, che credono in un essere superiore chiamato Nkulu Nkulu. Babbo entrò in stanza: “Figlia mia, cosa sono queste porcherie?”. Era convinto della supremazia dell’Occidente. Io no».
Si parlò di un’infatuazione platonica per Federica Sciarelli, allora giornalista di punta del Tg3.
«Gliel’abbiamo chiesto pure noi figli! (Anna Maria ride). Ha negato nel modo più assoluto!».
Ci sarà stata qualche donna che lo affascinava.
«Margaret Thatcher. Con lei era galante, le mandava fiori, si scrivevano. Rimasero in contatto anche quando lei lasciò il governo. Certo, era una fascinazione politica: la lady di ferro.
Stimava molto anche Kohl. Meno Mitterrand.
Babbo non era filofrancese, preferiva gli anglosassoni. Era un amerikano con la kappa».
Al Quirinale all’inizio appariva silente. Poi cominciò a picconare.
«All’epoca abitavo a Londra. Lo chiamai: ba’, che succede? E lui: “Ho deciso di dire tutto quello che penso. E finalmente mi diverto”. A volte nella sua scrittura cuneiforme buttava giù note durissime; il prefetto Mosino e io tentavamo di ammorbidirle, ma lui le pubblicava tali e quali. Ogni tanto penso a cosa avrebbe combinato se avesse avuto i social…».
Scalfari, che era stato suo amico, schierò Repubblica contro di lui.
«Ci rimase malissimo perché Scalfari scriveva che prendeva il litio, lo faceva passare per matto».
Cosa prendeva, per davvero?
«Curava la depressione. Era bipolare. Lui stesso parlava dell’omino bianco — gioioso, allegro — e dell’omino nero, che vedeva tutto negativo. È una delle tante cose che ha passato anche a me, anche se in forma più leggera. Ma mi ha insegnato anche a non vergognarmi di avere un disagio psicologico».
Dopo il Quirinale tornò protagonista creando un partito e portando D’Alema al governo.
«Babbo si era innamorato di D’Alema. Considerava il suo capolavoro politico aver portato il primo ex comunista a Palazzo Chigi e avergli fatto combattere una guerra della Nato».
Com’era il rapporto tra loro?
«Affettuoso. Una volta lo incontrammo per strada e babbo mi presentò così: “Mia figlia vota Rifondazione”. E D’Alema: “Sia più moderata, voti per noi…”. A casa spesso venivano Minniti e Latorre. Quando Berlusconi disse che i comunisti mangiavano i bambini, babbo mandò a D’Alema un bambino di marzapane».
E Berlusconi?
«Babbo lo trovava irresistibilmente simpatico, ma non era il suo tipo di politico. Non l’ha mai votato. Mio fratello invece andò in Parlamento con Forza Italia».
Craxi?
«Quand’era potente non avevano un gran rapporto. Ma quando finì ad Hammamet babbo andò a trovarlo, e lo difese sempre».
Incontrava le persone più disparate.
«Aveva sempre la casa piena di gente. Una volta trovai in salotto Francesca Mambro e Giusva Fioravanti che prendevano il tè. Rimasi basita. Ma lui mi disse: “Figlia mia, per la strage di Bologna sono innocenti”. Un’altra volta trovai Adriana Faranda, la brigatista. Quella volta spiegò: “Figlia mia, lo Stato deve fare pace con i terroristi sconfitti”».
Aldo Cazzullo
per il Corriere della Sera
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