IL FISICO E DOCENTE UNIVERSITARIO PIERO MARTIN: “EVITARE ERRORI È UN IDEALE MESCHINO: E’ NECESSARIO SBAGLIARE. SE NON OSIAMO AFFRONTARE PROBLEMI CHE SIANO COSÌ DIFFICILI DA RENDERE L’ERRORE QUASI INEVITABILE, NON VI SARÀ ALCUNO SVILUPPO DELLA CONOSCENZA”
“NON SI HA RAGIONE PERCHÉ SI OCCUPA UN CERTO RUOLO, MA PERCHÉ SI ESIBISCONO FATTI CHE PROVANO LA TUA TESI. HA SBAGLIATO PERSINO EINSTEIN”
Il fisico e docente universitario Piero Martin, autore di un saggio sul tema, ci spiega perché – nella scienza come nel calcio o nella vita – sbagliare ci fa bene
Eppure, errare non solo è umano, può essere anche utile per imparare qualcosa di nuovo, su se stessi e sul mondo. La scienza è costellata di errori che, lungi da rappresentare un fallimento, hanno in realtà fatto fare grandi progressi alla conoscenza. E una rassegna di sbagli (e abbagli) scientifici, forieri di nuove scoperte, è quella contenuta in Storie di errori memorabili (Laterza), ora in libreria e firmato da Piero Martin, professore ordinario di Fisica sperimentale all’Università di Padova.
Rievocare le “cantonate” degli scienziati (anche di grandissimi come Einstein e Fermi) permette a Martin di raccontare in modo originale vicende già note: dalla scoperta della doppia elica del Dna alla nascita del mito dei marziani. Ma l’elogio dell’errore scientifico, nelle intenzioni di Piero Martin, ci aiuta anche a essere più indulgenti con noi stessi
Professor Martin in che senso l’errore può avere un ruolo positivo, nella scienza come nella vita, o su un campo di calcio?
«Preferisco far rispondere Karl Popper, secondo cui “evitare errori è un ideale meschino: se non osiamo affrontare problemi che siano così difficili da rendere l’errore quasi inevitabile, non vi sarà alcuno sviluppo della conoscenza”. Inoltre la scienza ci insegna che se si vogliono fare progressi, in qualsiasi campo, bisogna essere lasciati liberi di sbagliare. E poi non vale il principio di autorità: non si ha ragione perché si occupa un certo ruolo, ma perché si esibiscono fatti che provano la tua tesi».
Perfino Albert Einstein, il genio per antonomasia, ha sbagliato?
«Ha sbagliato anche lui. E in un certo senso ha sbagliato due volte sullo stesso argomento. Scrive la teoria della Relatività generale, in un contesto in cui l’universo è considerato statico. Ma dalla sua teoria emerge un universo in movimento, che si espande. E allora Einstein introduce una “correzione” alla teoria, la costante cosmologica. Ma di lì a poco si dimostra che l’universo è in espansione: il padre della Relatività ammette l’errore e toglie la correzione. Alla fine degli anni Novanta però si comprende che il cosmo non solo si espande, ma lo fa a velocità crescente: per descrivere questo fenomeno c’è bisogno di reintrodurre nella teoria di Einstein una costante cosmologica».
Ci sono errori dovuti al fatto che gli scienziati si “affezionano” a una teoria e finiscono per non “vedere” i fatti e i dati che la confutano?
«Cito il caso di Giovanni Battista Riccioli, gesuita-scienziato che nasce una trentina d’anni dopo Galileo e fa esperimenti cruciali per provare le teorie galileiane. A un certo punto teorizza quello che poi sarebbe stato l’effetto Coriolis, una dimostrazione plastica che la Terra ruota intorno al Sole. Riccioli è però così legato alla sua visione geocentrica da non riuscire a fare l’ultimo passo».
Gli errori della scienza che lei racconta possono essere alla base della crescente sfiducia nella ricerca da parte di un pezzo della società?
«Temo che questo non dipenda dagli errori della scienza, ma dall’essersi disabituati alla fatica dell’apprendimento. Manca sempre più la consapevolezza che il sapere, quello dello scienziato, come quello dell’artigiano, richiede fatica».
(da la Repubblica)
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