GRILLO, IL POPULISTA ALL’ITALIANA SNOBBATO DAI POPULISTI EUROPEI
“IN REALTA’ E’ UN TRASFORMISTA IMPENITENTE, CAPACE DI SFRUTTARE IL TUTTO E IL CONTRARIO DI TUTTO”
Grillo è populista? La domanda non è oziosa.
Non nel momento in cui in Europa partiti e movimenti che si definiscono tali costituiscono la vera novità dello scenario politico.
Per la loro crescita di consenso, più che per la loro effettiva comparsa nei sistemi istituzional-parlamentari dei singoli stati membri dell’unione.
Non lo è ancor di più per la disponibilità del leader del Movimento 5 stelle a definirsi tale.
“Il M5S non è di destra, nè di sinistra, è dalla parte dei cittadini. Fieramente populista”, scriveva l’ex comico lo scorso dicembre, lanciando un apposito hashtag su Twitter.
Non lo è per il frequente accostamento tra i movimenti populisti europei (primo fra tutti il Front National francese) e la creatura gestita dalla Casaleggio associati.
Domandarsi se Grillo sia populista è cosa quasi dovuta in vista del rinnovo del Parlamento europeo, la cui futura composizione potrebbe prevedere per la prima volta un gruppo che raccoglierà le formazioni che si professano tali e che si presenteranno alle elezioni.
“I neo-populisti sono antieuropeisti ma rifiutano Grillo e la destra reazionaria dell’est Europa”, spiegano Guido Bolaffi e Giuseppe Terranova, autori di un ebook che fa anche da bussola per chi vuole orientarsi meglio nel magma del populismo europeo in vista del voto del prossimo 25 maggio.
Il libro, ovviamente, punta il focus sull’astro nascente di questo complicato universo: “Marine Le Pen & co. Populismi e neopopulismi in Europa”.
Le conclusioni dei due studiosi della materia – Bolaffi è tra i massimi esperti europei in tema di immigrazione, Terranova è docente di sviluppo sostenibile e flussi migratori alla Luiss, rispettivamente direttore e condirettore della rivista di approfondimento West – sono che l’ex comico e il M5s non possono essere inseriti nella categoria del neo-populismo.
Il loro giudizio è netto: “Grillo più che un neo-populista è fondamentalmente un trasformista impenitente e di lunga lena. Con una bassa, bassissima attitudine per le idee ma una formidabile capacità nello sfruttare, all’occasione, tutto e il contrario di tutto”.
Andando più in profondità , si potrebbe osservare come il leader stellato possa essere inquadrato come populista per lo meno nelle modalità in cui affronta i problemi e rispetto al tipo di pubblico al quale si rivolge.
Mentre sfugge da tale definizione per la mancanza di un filo conduttore stabile nella definizione programmatica delle proprie issues politiche.
Scrivono Bolaffi e Terranova che i neo-populisti “non sono anti democratici ma anti istituzionali, perchè nemici di qualsiasi forma di mediazione frapposta tra il popolo e l’esercizio effettivo e diretto del potere. Criticano la democrazia rappresentativa in nome e per conto di quella diretta. Le loro posizioni non sono anti sistema ma di protesta, anche estrema, contro il funzionamento difettoso dei meccanismi della democrazia rappresentativa”.
Una visione dei meccanismi che regolano la vita pubblica facilmente riscontrabile nel Movimento 5 stelle. Il cui approccio al sistema delle regole può essere certamente definito populista.
Anche nella scelta della platea elettorale di riferimento i punti di contatto sono più d’uno.
Tre sono le minacce dalle quali i neo-populisti vogliono “difendere il popolo: crisi economica, immigrazione ed eurocrazia”.
Temi che, nella loro declinazione pratica, costituiscono la reale linea di frattura tra il M5s e gli altri movimenti europei.
Ma che nelle motivazioni del loro utilizzo, fotografano ancora solidi punti di contatto. L’intento, scrivono i due autori, “è quello di elevare il tasso del consenso e del livello di credibilità politica in aree sociali e settori della popolazione sinora molto diffidenti nei loro confronti […] Affiancando il nucleo duro della classe operaia in rotta con la sinistra e gli spaesati poveri delle periferie metropolitane con le leve, ben più numerose e politicamente decisive, dei ‘perdenti del nuovo tipo’. Ceti medi e giovani web 2.0 in prima fila”.
Sovrapponibile anche la concezione della leadership così come intesa sia dal neo-populismo sia dalle truppe grilline.
“Il populista è un imprenditore politico che cerca, al pari dei suoi concorrenti, di massimizzare a suo vantaggio il profitto elettorale e mediatico”. Fin qui nulla di nuovo.
Bolaffi e Terranova approfondiscono però in modo estremamente interessante la forma attraverso cui ciò si declina: “Una volta individuato un nemico nelle istituzioni statali, nelle classi dirigenti o, come nel caso di oggi, nelle forze ‘espropriatrici’ della globalizzazione e della burocrazia di Bruxelles, li attacca per nome e per conto del popolo. Che ne è la vittima innocente. Il populista contrappone un popolo virtuoso e omogeneo contro una serie di elites e pericolosi ‘altri’ che sono descritti come uniti nel privare (o cercare di privare) il popolo sovrano dei suoi diritti, valori, identità e voce”.
Una descrizione perfetta delle tecniche comunicative di Grillo e di Casaleggio. I quali, al pari dei (quasi) omologhi movimenti europei, giocano sul filo dell’ambivalenza, potendo essere tanto “conservatori e reazionari”, quanto “espressioni di istanze democratiche dirette e partecipative”.
I neo-populisti si richiamano alla Gemeinshaft così come definita nel 1969 da Isaiah Berlin. Un’idea di comunità che è “apolitica, in quanto radicata per lo più nella sfera sociale”, “ha un afflato rigeneratore, poichè intende ridare al popolo la centralità sottrattagli”, e “vuole impiantare i valori di un mondo idealizzato del passato in quello attuale”.
Un concetto spesso ripreso da Grillo. Che ad Ancona, lo scorso 15 maggio, spiegava da un palco: “A noi ci considerano il movimento che crea la violenza, ma siamo esattamente il contrario, vorrei che ci abbracciassimo un po’ tutti. La rabbia la convogliamo in un Movimento di affetto, siamo una comunità di persone che si abbracciano”.
Considerati tutti i punti di contatto riguardanti la concezione di se stessi, la visione del sistema istituzionale e politico, il bacino di consenso a cui attingere, perchè le formazioni neo-populiste europee, pur guardando con interesse a Grillo, rifiutano di essere accostati al Movimento 5 stelle (e viceversa?).
Secondo Bolaffi e Terranova l’incomunicabilità è dovuta alle profonde divergenze nello sviluppo della propria piattaforma politica.
Neopopulisti, euroscettici e partiti di destra radicale (44 parlamentari europei uscenti), pur guardandosi ancora con una certa diffidenza, stanno pensando di saldarsi in un unico gruppo parlamentare, come ribadisce la stessa Le Pen in un’intervista inedita pubblicata nel libro: “Con Geert Wilders non abbiamo firmato nessun accordo […] Il nostro è stato un incontro ufficiale per annunciare agli elettori europei che una collaborazione tra partiti sovrani è possibile per sconfiggere il mostro burocratico e federale europeo. […] I nostri incontri riguardano la possibilità di formare, dopo le elezioni, un gruppo parlamentare nel Parlamento europeo”.
Un’intesa che nasce da tre grandi linee direttrici che accomuna la galassia di partiti à la Le Pen: un anticonformismo libertario in tema di diritti civili declinato in chiave nazionalistica e a scapito degli stranieri; una lotta all’immigrazione intesa non come crociata contro la diversità tout-cout (come in passato) bensì quale conseguenza dei danni economico-sociali e politico culturali di cui è latrice; l’abbandono delle battaglie antipolitiche e il tentativo di portare avanti istanze comuni in forme federate e coordinate.
Tre elementi rispetto ai quali il Movimento 5 stelle è ondivago, se non proprio refrattario.
Al punto che è stato lo stesso Front National a sottolinearlo, guardando ad altri interlocutori nel Belpaese:
“I 5 stelle – diceva lo scorso 13 febbraio Ludovic De Danne, consigliere di Marine Le Pen intervistato su West – oltre a dire ‘no euro’ non hanno un progetto preciso e coerente. E nel loro blog hanno pubblicato solo ridicoli, diffamatori articoli contro il Front National e la nostra leader. Meglio la Lega Nord che Beppe Grillo”.
È l’assenza di un programma preciso, di linee guida stabili, che da un lato porta i movimenti neo-populisti a diffidare del M5s e dall’altro fa ribadire a Grillo, rimasto ancorato alle ragioni dell’antipolitica e guidato dagli istinti del momento, di non avere nulla a che fare con le destre europee.
Il libro, tra le altre cose, raccoglie le dichiarazioni rese nel corso del tempo dal leader stellato su tre temi tipici del populismo continentale: l’uscita dall’euro, l’immigrazione, i diritti degli omosessuali.
Le contraddizioni sono evidenti. Sulla moneta unica Grillo ha detto che “uscire dall’euro non è un tabù, si può fare, non è mai troppo tardi per tornare indietro da una strada lastricata per l’inferno” (20 aprile 2012), per poi virare su un referendum rispetto al quale non si vuole pronunciare: “Non rispondo cosa farei perchè non spetta a nessun leader decidere cosa fare, nè tantomeno influenzare le opinioni altrui” (8 agosto 2013).
Stesso discorso sulla questione degli immigrati, che ha generato un clamoroso cortocircuito tra l’ex comico e due senatori M5s.
“È gente che va via per non morire – spiegava nel gennaio del 2012 – Bisogna inserirli pian piano a far le cose, perchè è gente straordinaria. È un processo di cui non si può fare a meno: arrivano a riprendersi un po’ di quello che gli abbiamo tolto”.
Il 10 ottobre 2013 il registro era già cambiato: “Lampedusa è al collasso e l’Italia non sta tanto bene. Quanti clandestini siamo in grado di accogliere se un italiano su otto non ha i soldi per mangiare?”.
Sulle unioni omosessuali invece si è passati dal “Ti saluto culattone” rivolto nel maggio 2011 a Nichi Vendola, al “Se sono d’accordo? Forse”, reso a un giornalista nel giugno 2012.
Per arrivare allo scorso gennaio, quando l’ex comico spiegava: “La mia opinione personale l’ho data: se vogliono sposarsi si sposino pure, ma deciderà la gente con un referendum”.
I neo-populisti d’Europa lo hanno già deciso.
E su questa, e su altre battaglie comuni, proveranno a sparigliare a Strasburgo.
Senza Grillo, per ora.
Pietro Salvatori
(da ““Huffingtonpost“)
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