HOOLIGANS, ALFANO NON HA NULLA DA DIRE, LA POLIZIA: “CI SPIEGHI LUI QUANDO CARICARE”
VIENE A GALLA UFFICIALMENTE LA FRATTURA TRA FORZE DELL’ORDINE E IL MINISTRO SFIDUCIATO DA TEMPO
L’offesa a Roma sorprende Alfano dall’altra parte dell’Atlantico, a Washington, e gli consiglia il silenzio. Che prosegue nella trasvolata di ritorno.
E nelle ore immediatamente successive al suo arrivo a Roma, ieri mattina alle 9.
Come sempre quando tira brutta aria, il ministro lascia infatti che a metterci la faccia – a giustificare se stessi e le scelte di ordine pubblico – siano il prefetto della città , Giuseppe Pecoraro, e il questore, Nicolò D’Angelo, il quale, nel pomeriggio, pretende e ottiene al telefono con l’altrettanto silente capo della Polizia, Alessandro Pansa, di essere autorizzato a rispondere pubblicamente a chi ne chiede la testa.
Per lunghe ore, il ministero dell’Interno è una sedia vuota, al contrario di quelle affollate al primo piano della Questura, dove D’Angelo, affiancato da ufficiali dell’Arma, rivendica in una conferenza stampa le decisioni prese di fronte alla scelta tanto diabolica, quanto inaccettabile, cui lo costringe l’assenza di qualsiasi direttiva certa che l’autorità politica di pubblica sicurezza – il ministro, appunto – avrebbe da tempo dovuto dare in materia di ordine pubblico.
“Tra il morto e la Barcaccia – dice il questore – scelgo e continuerei a scegliere la Barcaccia”. Ed è chiaro – aggiunge – che il problema sono le ragioni per cui si finisce per trovarsi di fronte a quella scelta. Che però non sono affar suo. Fa di più, D’Angelo. Spiega che, in piazza di Spagna, “si è perso tutti insieme “.
Quindi, a favore di telecamere, scandisce: “Se mi ritengono inadeguato, sono qui”.
È una mossa che, in un Paese normale, metterebbe il ministro dell’Interno di fronte a una scelta obbligata.
Rimuovere il questore o presentare le proprie dimissioni riconoscendo che la “verità ” inaccettabile pronunciata in quella conferenza stampa – “O il morto o la Barcaccia” – nel proporre l’immagine impietosa dell’impotenza di un Paese e dei suoi apparati di sicurezza, interpella l’assenza di direzione politica dell’ordine pubblico.
Peggio, la sua ipocrisia, generalmente consigliata dalle circostanze (correva il lontanissimo 1997 quando, per dire, l’allora questore di Roma Rino Monaco venne crocifisso per aver usato la mano pesante con 15 mila hooligan inglesi a Roma).
A maggior ragione se nelle stesse ore il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, viene convinto dal suo staff ad una presa di posizione pubblica in sostegno dei 1.800 tra poliziotti, carabinieri, finanzieri che hanno fronteggiato l’orda alcoolica olandese.
Alfano, al contrario, si fa ” junco che si cala ” in attesa che passi la china .
E quando è sera, fa sapere – inconsapevole dell’effetto grottesco della velina – di essere “al lavoro sul piano di impiego di 500 militari in più a Roma previsti dall’operazione “strade sicure”; sul progetto di legge per la sicurezza delle città e decoro urbano per il quale intende incontrare nei prossimi giorni il presidente dell’Anci Fassino; su una proposta da avanzare in sede Ue per l’introduzione di un “daspo” continentale per i tifosi violenti”.
La verità è che il ministro sa che il questore di Roma conta, in questo momento, più di lui.
E non solo e non tanto perchè ha la fiducia del presidente del Consiglio e del suo partito, nonchè del capo della Polizia.
Ma perchè in poche ore, dietro il flusso di coscienza di una conferenza stampa che mostra come il Re sia nudo, si stringono tutte le sigle sindacali di Polizia. Da destra a sinistra.
Come se in quella sincera denuncia di una resa al principio inaccettabile della “riduzione del danno” ci fosse finalmente la denuncia dell’ipocrisia della politica.
Della logica del capro espiatorio, normalmente cercato in uno degli anelli dell’apparato. Un metodo battezzato da Alfano nell’estate del caso Shalabayeva.
Del resto, appena tre mesi e mezzo fa, D’Angelo era stato chiamato a rispondere – e con lui Pecoraro – dei manganelli alzati con troppa solerzia ed energia sulle teste degli operai della Thyssen in piazza dei Cinquecento.
E allora – per ragioni opposte a quelle di queste ore – sempre nel silenzio del capo della Polizia, Alfano era andato in Parlamento per provare a tenere insieme l’impossibile.
Per distribuire solidarietà a manganellati e manganellatori, evitando di spiegare cosa fosse andato storto in piazza e soprattutto a quali direttive di ordine pubblico prefetti, questori, e con loro polizia, carabinieri, finanza avrebbero dovuto e dovrebbero attenersi.
Una domanda cui il ministro dell’Interno non ha mai trovato il tempo di rispondere. E che, non a caso, il questore di Roma torna a sollevare con estrema concretezza.
“Il prossimo 28 febbraio – dice riferendosi alla manifestazione organizzata a Roma da Matteo Salvini e dalla Lega e all’annuncio di contro-cortei degli antagonisti per “negargli la piazza” – avremo una giornata in cui i segnali che arrivano non sono tranquillizzanti. Ma se interveniamo massivamente su cortei del genere che facciamo?”.
Già , che si farà ? Si negherà a Salvini quello spicchio di Roma che è stato concesso all’incontinenza olandese?
Si useranno con gli antagonisti le maniere sconsigliate per 500 hooligan?
Dove verrà tracciato il confine invalicabile della “tolleranza”?
E chi se ne assumerà la responsabilità politica?
Un ministro dell’Interno o, ancora una volta, un Questore o un Prefetto della Repubblica, che sulla carta restano autorità “tecniche” di pubblica sicurezza?
Carlo Bonini
(da “La Repubblica“)
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