I CATTOLICI DEM SONO PIENI DI POLTRONE MA FANNO LE VITTIME PER AVERE IL CANDIDATO PREMIER
NEGLI ULTIMI 25 ANNI HANNO ESPRESSO SETTE PRESIDENTI DEL CONSIGLIO
Nell’ultimo quarto di secolo, il connubio elettorale e parlamentare di post-comunisti e
post-democristiani (dall’Ulivo al Pd) ha espresso o sostenuto sette presidenti del Consiglio cattolici, in prevalenza praticanti: Romano Prodi, Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte, Mario Draghi. Senza dimenticare, poi, l’elezione per due volte al Quirinale di Sergio Mattarella, proveniente dalla sinistra dc.
Risultato: oggi la fusione fredda del Pd (o “l’amalgama mal riuscito”, D’Alema dixit) è in prevalenza un arcipelago di correnti centriste o democristianizzate nonostante il movimentismo della sua leader Elly Schlein, che – teniamolo a mente – perse le primarie interne per la segreteria. Epperò tutto questo non impedisce ai notabili dc del Pd di rilanciare a fasi alterne la fatidica questione cattolica all’interno del loro partito. Stavolta la stura a questo dibattito stanco e ripetitivo l’ha data
l’intervento di Giorgia Meloni al Meeting ciellino di Rimini, mercoledì scorso, laddove la premier ha evocato un fatto più che noto: il cattolicesimo militante di Cl transitato nella destra berlusconiana dopo i fasti andreottian-sbardelliani.
Nulla di nuovo sotto il sole. La dimensione pubblica dei cattolici conservatori, complice il ruinismo, è sempre stata ritenuta agli antipodi del cattolicesimo adulto alla Prodi, in cui la coscienza del credente non sconfina nella laicità delle istituzioni. Ma l’ovazione ciellina riservata a Meloni ha fatto subito scattare i centristi del Pd che stavolta lamentano la linea relativista e troppo di sinistra della segretaria Schlein. In realtà questi alti lai sono l’ennesima conferma alla doppiezza dei moderati dem: democristiani quando devono trattare le poltrone, cattolici quando è il momento di rivendicare più peso con l’obiettivo dichiarato, in questo caso, di ottenere un candidato premier di centro. Insomma un nuovo Prodi di cui non si vede alcuna traccia (improbabili sia Gentiloni, sia il gettonatissimo Ernesto Ruffini).
Oggi i democristiani del Pd sono sparsi in almeno sei correnti ma i loro punti di riferimento sono sostanzialmente due: l’eterno Dario Franceschini, che sostiene Schlein, e il falco bellicista Lorenzo Guerini, vero capo della minoranza interna. I cattolici del Pd per tradizione sono più pragmatici che dogmatici (con la sola eccezione, in passato, dei teocon di Rutelli e Binetti) e lo dimostra finanche il loro doppiogiochismo: da un lato se ne stanno comodamente al riparo nel Pd per trattare candidature e posti, dall’altro allisciano il pelo a chiunque voglia dare vita a una gamba centrista che includa il benedetto federatore da mandare a Palazzo Chigi. Tutto già visto.
Post scriptum. Questo stucchevole dibattito ha fatto passare in secondo piano le parole di Leone XIV rivolte alla politica, giovedì scorso: “Il cristianesimo non si può ridurre a una semplice devozione privata, perché implica un modo di vivere in società improntato all’amore di Dio e del prossimo che, in Cristo, non è più un nemico ma un fratello”.
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