I CINQUESTELLE FAVOREVOLI ALLA GOOGLE TAX? ARRIVA GRILLO A DIRE NO E OVVIAMENTE SI SCHIERA CON I POTENTATI ECONOMICI
ALLA CAMERA BEN 78 DEPUTATI AVEVANO DETTO SI’ ALLA NORMA PER FAR EMERGERE I PROFITTI REALIZZATI IN ITALIA DALLE SOCIETA’ ON LINE STRANIERE E PER COMBATTERE IL DUMPING FISCALE: RICHIAMATI ALL’ORDINE DAL CAPOCOMICO
La Google Tax? Beppe Grillo la stronca, ma i suoi parlamentari la approvano.
Anzi, 78 deputati del M5S l’hanno anche votata.
Si apre un nuovo caso emblematico dentro al Movimento alle prese con la legge di stabilità all’esame del Senato.
Tra le misure previste dalla maggioranza c’è anche la cosiddetta Google Tax, una proposta del Pd, proposta su impulso del presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, e del deputato Ernesto Carbone.
La norma punta a far emergere i profitti realizzati in Italia dalle società online straniere.
A differenza dei concorrenti ‘made in Italy’, aziende come Google e Amazon, ma anche imprese di e-commerce, vendono servizi, oggetti e pubblicità nel nostro Paese ma pagano le tasse in Stati dove l’aliquota è più bassa.
Per evitare questa forma di ‘dumping fiscale’, i democratici prevedono che chi acquista beni e servizi da tali imprese possa farlo solo se c’è una titolarità fiscale italiana.
In questo modo, spiegano, si raccoglierebbero centinaia di milioni di euro.
Anche 1 miliardo, da destinare – hanno spiegato – alla riduzione della tassazione sul lavoro.
Contro questa strategia, però, si è scagliato chiaramente nelle scorse ore Beppe Grillo. Citando lo scrittore e ‘senior fellow’ dell’Adam Smith Institute, Tim Worstall, il leader dei cinque stelle ha definito “illegale” la Google tax.
“Il partito democratico, ha proposto una normativa che costringe Google, Facebook e altri giganti a pagare le tasse locali sulle loro entrate italiane, anzichè in Paesi con pressione fiscale inferiore come Irlanda e Lussemburgo. E’ un approccio del tutto illegale”, ha scritto Worstall, sostenendo che in questo modo viene violato il trattato di Roma del 1957.
Ma i parlamentari M5S non sono affatto convinti che sia questa la posizione corretta. Prova ne è il fatto che la stragrande maggioranza di loro la Google tax l’ha già votata.
E’ successo il 24 settembre scorso, quando nell’aula della Camera era in discussione la legge delega per la riforma del fisco (ddl 282, ora all’esame del Senato).
L’articolo 9, comma 1, lettera ‘i’, impegna il Governo, coi decreti attuativi della delega, a prevedere “l’introduzione, in linea con le raccomandazioni degli organismi internazionali e con le eventuali decisioni in sede europea, tenendo conto anche delle esperienze internazionali, di sistemi di tassazione delle attività transnazionali, ivi comprese quelle connesse alla raccolta pubblicitaria, basati su adeguati sistemi di stima delle quote di attività imputabili alla competenza fiscale nazionale”.
In sostanza è il principio che ispira la norma proposta da Boccia per la legge di stabilità .
Il Pd ha ripresentato la norma in forma di emendamento alla manovra per anticipare i tempi rispetto alla delega fiscale, per la cui applicazione bisogna attendere il via libera definitivo del parlamento e poi un decreto attuativo da emanare entro un anno.
Con la manovra, invece, entro fine anno al massimo, la Google tax sarà legge.
Nonostante l’anatema di Grillo, lo scorso 24 settembre a votare la Google tax nella delega fiscale sono stati anche i parlamentari grillini.
L’articolo 9, infatti, secondo quanto risulta all’agenzia Dire, è stato approvato in aula con 443 voti a favore.
I presenti erano 447, e 62 i deputati in missione (tra i quali i tre grillini Luigi Di Maio, presidente di turno dell’aula, il presidente della commissione di Vigilanza Roberto Fico, e il deputato Luca Frusone). In quell’occasione i voti contrari furono soltanto tre (Giovanna Petrenga e Riccardo Gallo del Pdl più Luisella Albanella del Pd) e un astenuto (Mauro Pili, del Pdl). Ma nessuno dei 5 stelle ha votato contro.
Il giorno successivo, sul complesso del provvedimento, il Movimento si è invece astenuto.
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