I SEI PAESI AFRICANI DA “AIUTARE A CASA LORO”
TUNISIA, UGANDA, KENYA, CIAD, NIGER SONO I PAESI IN CUI L’EUROPA DOVREBBE INVESTIRE
Orizzonte Africa. Obiettivo: sicurezza. La sfida: reinsediare senza deportare. Riguarda sia i Paesi di origine che quelli di transito dei rifugiati-migranti.
L’asse Macron-Merkel si è definita anche rispetto a quella che Parigi e Berlino individuano come una delle priorità dell’agire internazionale; una priorità che tiene assieme gli interessi europei e quelli nazionali.
Qui scatta la sfida. Perchè non è affatto semplice, nè pacifico, trovare una quadra che tenga dentro esigenze spesso in conflitto tra loro.
In Nord Africa, il Paese che più risponde ai vari criteri sopra elencati è la Tunisia, l’unica realtà nella quale sono sopravvissuti quei principi di democratizzazione che furono a fondamento delle cosiddette “Primavere arabe”.
Per la prima volta, nel febbraio scorso, Tunisi ha accettato di ricevere migranti di qualunque nazionalità partiti dalla Libia e intercettati in acque extraterritoriali dalle squadre italiane ed europee di salvataggio.
In contropartita l’unico governo democratico del Maghreb ottiene dall’Italia e dall’Unione Europea sostegno su alcuni fronti che lo interessano: non solo un nuovo, forte sostegno finanziario, ma anche ulteriore cooperazione degli apparati di intelligence e di polizia contro il terrorismo islamico e il rischio di destabilizzazione del Paese. Avrebbero poi diritto a ripartire verso l’Italia o il resto d’Europa, attraverso «corridoi umanitari», solo i rifugiati di cui viene accolta la domanda di asilo.
La visione che sottende questa politica di intervento a “casa loro”, è quella “di una “ownership” africana: altri due Paesi che potrebbero far parte del primo gruppo di “ownership”: l’Uganda, anzitutto.
Nel 2016 quasi 490mila profughi si sono rifugiati in Uganda a causa dei violentissimi scontri ricominciati a luglio dello scorso anno in Sud Sudan.
È un numero altissimo, se si considera che l’Uganda è destinazione anche di profughi provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo e dal Burundi.
Per avere un’idea: nel 2016 tutte le persone arrivate sulle coste europee dopo avere attraversato il mar Mediterraneo sono state 362mila, di cui una parte ha poi lasciato i paesi costieri per andare verso nord.
L’Uganda — che è grande quanto mezza Spagna — è considerato da anni uno dei Paesi più accoglienti del mondo con i migranti. Jan Egeland, segretario generale del Norwegian Refugee Council, un’organizzazione non governativa che promuove i diritti dei migranti, ha rimarcato: “A differenza di quello che si crede normalmente, la maggior parte dei profughi non si sposta verso l’Europa. La verità è che nel 2016 ci sono stati più profughi che hanno cercato rifugio in Uganda ogni giorno di quanti si siano diretti in alcuni dei ricchi paesi europei nel corso dell’intero anno”.
Altri Paesi del potenziale “primo gruppo” sono il Kenya e l’Etiopia, che ospitano i rifugiati somali. Con i suoi 850mila rifugiati, l’Etiopia si conferma Paese leader, in Africa, per quanto riguarda l’accoglienza di profughi.
Nel mese di aprile si è svolta ad Addis Abeba, in Etiopia, una missione operativa congiunta di Caritas Italiana e Comunità di Sant’Egidio per aprire il primo corridoio umanitario dall’Africa.
Il Kenya ospita oltre mezzo milione di rifugiati, almeno 330.000 dei quali sono somali. Di questi, circa 260.000 si trovano nel campo di Dadaab, il più grande del mondo. La Somalia è sconvolta da oltre 20 anni di conflitto.
Gli scontri tra le forze governative, sostenute dalle truppe dell’Unione africana, e i combattenti di al-Shabaab hanno causato gravissime violazioni dei diritti umani ai danni della popolazione civile e la devastazione dei servizi e delle infrastrutture di base. Questo Paese, che oltretutto deve fare i conti con oltre 1.100.000 profughi interni, non ha le risorse necessarie per affrontare un rientro su larga scala di rifugiati da Dadaab. La mancanza del sostegno internazionale al Kenya, che si manifesta con l’insufficiente finanziamento dei programmi umanitari e le scarse opportunità di reinsediamento per i rifugiati più vulnerabili, ha contribuito alla tremenda situazione in cui si trovano gli abitanti di Dadaab. Il Kenya è uno dei 10 Paesi che ospitano più della metà dei 21 milioni di rifugiati del mondo.
Qualche numero rende bene l’idea. Al 31 ottobre 2016, l’appello dell’Unhcr per un finanziamento di 272 milioni di dollari era stato coperto appena per il 38 per cento. In tutto, soltanto 5001 rifugiati sono stati reinsediati dal Kenya, oltre 3500 dei quali negli Usa. Solo 671 rifugiati vulnerabili sono stati reinsediati nei Paesi dell’Unione Europea. Ora qualcosa sembra muoversi. Lo scorso febbraio, la Corte Suprema di Nairobi ha bloccato giovedì la decisione del governo del Kenya di chiudere il campo profughi di Dadaab.
Secondo, John Mativo il giudice che ha emesso la sentenza, si tratta di un provvedimento incostituzionale e che equivale alla persecuzione dei rifugiati. “È un passo molto positivo per centinaia di migliaia di rifugiati bloccati in un limbo da quando, a maggio scorso, era stato dato l’annuncio ufficiale della chiusura del campo”, ha affermato Medici senza Frontiere esortando il governo del Paese africano a “sostenere questa decisione. Qualunque ritorno dei rifugiati in Somalia deve avvenire su base volontaria”.
Msf si è opposta con forza alla chiusura di Dadaab fin dall’inizio, esortando a considerare immediatamente soluzioni alternative alla permanenza prolungata in un campo a così ampia scala, tra cui un più alto numero di reinsediamenti in paesi terzi, campi più piccoli in Kenya o l’integrazione dei rifugiati nelle comunità del Paese.
Altra area nevralgica è quella dell’Africa occidentale.
Qui i Paesi prescelti sarebbero il Niger e il Ciad.
A fine 2016, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Office for Coordination of Humanitarian Affairs — Ocha), nella regione di Diffa, Nel Niger, almeno 300.000 sfollati necessitavano di assistenza umanitaria. Questi comprendevano oltre 184.000 sfollati interni del Niger, 29.000 cittadini nigerini rientrati nel Paese e 88.000 rifugiati nigeriani. Molti vivevano in condizioni deplorevoli all’interno di accampamenti improvvisati.
La situazione d’insicurezza ha bloccato l’accesso a beni di prima necessità e a servizi essenziali come cibo, acqua e istruzione, mentre il perdurare dello stato d’emergenza ha ostacolato le attività economiche.
Il Niger accoglieva nelle regioni di Tillabèri e Tahoua almeno 60.000 rifugiati del Mali, anch’essi bisognosi di assistenza. Il numero delle persone che transitavano attraverso il Niger, nel tentativo di raggiungere l’Europa, è continuato a crescere e Agadez è divenuta il principale nodo di transito per i migranti provenienti dai Paesi dell’Africa Occidentale. A ottobre 2016, uno studio condotto dall’Iom ha rilevato che il 70 per cento delle persone arrivate in Italia via mare, molte delle quali erano transitate in Niger, era stato vittima della tratta di esseri umani o di sfruttamento, comprese migliaia di donne e ragazze costrette a prostituirsi in Libia o Europa. Nonostante l’approvazione nel 2015 di una legge contro la tratta, poco è stato fatto per prevenire questa pratica in Niger.
Altro Paese cruciale è il Ciad. “La sofferenza e la disperazione nella regione del lago Ciad sono tra le più drammatiche che abbia mai visto. I rifugiati, le persone che sono tornate nei villaggi e le comunità ospitanti sopravvissute alla violenza e ai traumi dovuti agli attacchi di Boko Haram hanno bisogno urgentemente di aiuti”, ha rimarcato di recente l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi.
La situazione umanitaria è gravissima, con livelli estremamente alti di malnutrizione specialmente tra i bambini. E non solo tra quelli sfollati.
Secondo l’Unicef, circa 2 milioni 200 mila bambini ciadiani sono affetti da malnutrizione. Problemi di accesso al cibo, all’acqua e alle medicine sono stati segnalati anche nel campo di Goz Amer, nel Ciad orientale, che ospita circa 35 mila profughi sudanesi. Mentre verso sud ci sono almeno 90 mila profughi provenienti dal Centrafrica.
Più le migliaia di nigeriani in fuga da Boko Haram. Solo una parte dei circa 475 mila profughi e sfollati presenti in tutto il Ciad è attualmente assistita dall’Unhcr. Tunisia, Uganda, Kenya, Etiopia, Niger, Ciad (a cui si dovrebbe aggiungere in seconda battuta il Burkina Faso).
(da “Huffingtonpost”)
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