I SENZA FACCIA: NON SI PREOCCUPANO NEMMENO DI SALVARLA
QUANDO LE PROPONEVA LETTA PER RENZI ERANO MARCHETTE, ORA CHE LE FA LUI SONO LIBERALIZZAZIONI
Cerchiamo di guardare al lato positivo delle cose.
Mario Chiesa che minaccia causa a Sky perchè la serie tv 1992 mostra la scena — da lui stesso raccontata a verbale nel 1992 — della tangente da 37 milioni di lire gettata nel water con rigurgito di sciacquone, sostenendo che potrebbe guastargli l’immagine, è un buon segno: vuol dire che il concetto di reputazione non è ancora morto, neanche per un tizio che è stato condannato a 5 anni e 4 mesi per corruzione in Tangentopoli, che ha restituito un maltolto di 7,2 miliardi di lire, che è stato riarrestato nel 2009 per presunte mazzette su un traffico illecito di rifiuti e per giunta lavora per la Compagnia delle Opere di Cielle.
E che dire di B., pregiudicato e detenuto ai servizi sociali per frode fiscale, già indagato o imputato per una collezione di reati che abbraccia quasi l’intero Codice penale, che continua a svenarsi per pagare plotoni di squinzie in cambio del loro silenzio sulle notti di Arcore, convinto che sia umanamente possibile sputtanarlo più di quanto già non lo sia di suo?
È un altro indice incoraggiante, un insperato segnale di speranza: se teme che una o più olgettine possano fargli perdere la faccia vuol dire, intanto, che suppone di averne almeno una e, soprattutto, che gl’italiani non sono ancora abbastanza mitridatizzati al peggio.
Chi, come noi, pensava che al peggio non ci fosse mai fine e che per suscitare un filino di indignazione occorresse, che so, un filmato che lo ritrae in un asilo nido mentre si apre l’impermeabile, deve dunque riporre il cinismo e rallegrarsi: se un rabdomante della pancia degl’italiani come B. teme ancora la reazione degli elettori dinanzi a uno scandalo, non tutto è perduto.
Ora però bisogna avvertire, nell’ordine: i vertici Rai (che da tre giorni non proferiscono verbo sulla lettera di Verro a B. contro i programmi dell’azienda che dovrebbe amministrare); il prefetto Pecoraro (che non ne azzecca una nemmeno per sbaglio e ora, anzichè levare il disturbo per la gestione ridicola degli hooligans olandesi che ha messo di buonumore il califfo al-Baghdadi, si permette pure di querelarci perchè ricordiamo le sue memorabili gesta, dalla scorta levata a Biagi alle telefonate con Bisi & Buzzi, dal sequestro Shalabayeva all’idea geniale di trasformare Villa Adriana in una mega-discarica); e naturalmente la cosiddetta informazione, che da anni si comporta come se nulla potesse scalfire l’olimpica indifferenza dell’opinione pubblica.
Altrimenti il Giornale e Libero, che han sempre difeso padron Silvio condannato per frode, farebbero altrettanto con i vip accusati di evasione, invece scoprono all’improvviso la bruttezza anche estetica del gesto.
E Panorama si vergognerebbe di intervistare il condannato Geronzi, omettendone i precedenti penali e titolandone la requisitoria “Su Montepaschi io accuso”, manco fosse Emile Zola.
E poi: avete mai sentito uno dei cronisti da riporto ammessi al cospetto di Matteo Renzi da lui medesimo pigolare qualcosa sullo scandalo di Banca Etruria? Nemmeno un plissè, caso chiuso e morta lì.
Qualcuno osa sollevare il problema della straordinaria somiglianza fra il Jobs Act ultima versione e il documento sul lavoro di Confindustria del maggio 2014, e fra le ultime norme governative sull’Rc Auto e le pressanti richieste dell’Ania, l’associazione assicuratori?
Il nostro Palombi documenta da due giorni come il Ddl-ossimoro “Concorrenza”, che taglia fino al 50% i risarcimenti per i morti e i feriti sulla strada, sia un regalo alla nota lobby da far impallidire quelli dell’Ufficio Omaggi Rai.
Ci aveva già provato Letta jr., ma i renziani l’avevano stoppato con l’accusa di fare “marchette”.
Ora che le fanno loro, le chiamano “liberalizzazioni”.
Senza nemmeno preoccuparsi di salvare la faccia. Forse perchè, così giovani, l’hanno già persa.
O forse perchè non ne hanno mai avuta una.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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