I TRE VOLTI DI MILANO (E DELL’ITALIA)
LE MISE ELEGANTI DELLA CERIMONIA, I CAPPUCCI E LE MASCHERE ANTIGAS DELLE TUTE NERE, LE SCOPE DEI MILANESI FERITI
Unico trait d’union, uguale per tutti: il cielo compatto e grigio.
Per il resto, Milano in questo primo maggio 2015 le ha viste davvero tutte o comunque troppe per un solo giorno.
C’è il potere dell’Expo, i suoi padiglioni coloratissimi come quelli di un luna park, un set montato per durare sei mesi e poi via, chissà dove, a parte il padiglione Italia che resta.
Le autorità politiche e istituzionali, dal premier Matteo Renzi ai leader africani e arabi, il potere di chi lo esercita o ci vive dentro, tutti all’Open Air Theatre dell’Expo per l’inaugurazione.
E poi chi tutto questo potere lo contesta: i casseur entrati in azione alla manifestazione ‘MayDay’, corteo del lavoro precario che da anni sfila a Milano il primo maggio, è il corteo che anni fa si è inventato anche i santini di ‘San precario’, mai aveva conosciuto devastazioni e tafferugli.
E poi c’è la normalità dei milanesi: alcuni di loro scendono in piazza a pulire dopo l’inferno che per qualche ora scatena in centro, tra Corso Magenta e via Francesco Monti e poi giù verso piazza Mario Pagano, punto di conclusione del corteo.
Dai tacchi dell’Expo agli anfibi dei No Expo. Dalle mise eleganti della cerimonia ai cappucci neri e le maschere antigas che a fine corteo formano un tappeto in via D’Arezzo, poco prima di piazza Pagano: è lì che i black si svestono per evitare l’identificazione.
E’ lì che alcuni milanesi scendono in strada a pulire. Ed è lì che alcuni manifestanti invece rovistano tra la roba lasciata a terra. Ci sono scarpe e pantaloni, giubbotti e maglioni. Una ragazza prende una felpa nera con la stella rossa: “Bella, me la prendo!”.
Anche qui si può raccattare qualcosa, mica solo allo shopping di cibo dell’Expo. E c’è da dire che è la prima volta che in Italia i black bloc si disfano dei loro indumenti per tornare ad abiti normali, indossati sotto le tute nere. E’ una tecnica da casseur europei, è arrivata anche in Italia.
Expo e No Expo, due facce di una medaglia sociale che si sapeva sarebbe venuta allo scontro oggi, data la composizione molto radical della manifestazione pomeridiana. Expo è il trionfo del cibo, anche se c’è da dire che nel giorno dell’inaugurazione è difficile mangiare se non nei padiglioni di Eataly e gli altri italiani.
Vietnam e Corea non sono ancora pronti con la cucina e il giapponese non ha il sushi: “Arriverà solo ad agosto”, ci dice la cameriera, gentilissima.
Ma come? Il No Expo contesta, non crede alle buone intenzioni suggerite dall’intervento di Papa Francesco e professate dai politici sulla fame nel mondo, urla che il lavoro è precario all’Expo e fuori, dice che “nutrire le multinazionali”, come McDonald e Coca Cola che hanno stand all’Expo, “è nocivo per il pianeta”, conclude con uno striscione emblematico: “Ai ricchi il biologico, ai poveri il cancerogeno”.
Il cittadino milanese, che si affaccia al corteo e che magari ha in mente di fare un salto a Expo prima o poi, scuote la testa di fronte alle macchine incendiate e alle vetrine infrante di Largo D’Ancona, Cariparma è a pezzi e così anche il Banco Desio, di là c’è il ‘cadavere’ di un motorino, di qua il palazzo dell’Enel sul quale i casseur si sono particolarmente accaniti.
“Una cosa così a Milano non me la ricordavo dagli anni ’70”, ci dice. E non capisce. E poi ci sono le forze dell’ordine: gestione soft in piazza, contenimento, idranti e lacrimogeni, nessuna carica aggressiva.
Sarà l’effetto della recente sentenza della corte europea di Strasburgo sulle torture alla Diaz?
Su Milano piove una pioggia fine e pesante che sembra Dublino.
I vip si preparano per la serata di gala alla Scala, la Turandot di Puccini che conclude la loro giornata di festa per il primo giorno di Expo.
I black bloc non sono più black e si rintanano nei loro rifugi (a parte una ventina di fermati), lasciando una scia di allerta intorno alla sfilata delle autorità alla Scala: del resto, succede ad ogni prima di stagione, ogni anno, dagli anni ’70 in poi.
Il milanese medio resta a casa con questa pioggia: non è aria, sarà primo maggio un’altra volta.
(da “Huffingtonpost“)
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