“IL CAPO POLITICO SONO IO”: LA RABBIA DI DI MAIO E DELLA SUA CORTE NEL GIORNO IN CUI “IL FATTO” LO SILURA
“CHI E’ LA FONTE?”… DOPO AVER DIMEZZATO I VOTI IN MENO DUE ANNI, VUOLE RESTARE PER RIDURLI A UN TERZO
“Il capo politico sono io. Nel Movimento sono tantissimi quelli che lavorano in silenzio per il bene dei cittadini. Per chi cerca un po’ di visibilità quella è la porta”.
È questo il ragionamento di Luigi Di Maio nel giorno in cui il Fatto Quotidiano esce con il retroscena del suo passo indietro.
Dimissioni da capo politico da qui a dieci giorni, arrivederci a tutti. La reazione è rabbiosa. Lo staff di buon mattino dirama una smentita dai toni durissimi: “Un fatto gravissimo, ci sorprende”, dicono, definendo la ricostruzione decisamente surreale. Da Alfonso Bonafede in giù è un profluvio di post e interventi che mirano a blindare il leader.
Nell’entourage del ministro degli Esteri le domande continuano ossessivamente a girare a vuoto: “Chi è la fonte? Chi vuole colpire Luigi fino a questo punto?”. Domande che rimangono senza risposte.
Le chat dei parlamentari esplodono. La traccia che con il passare delle ore si fa via via più battuta è anche quella più inquietante: e porta dritta a Palazzo Chigi.
Dritta cioè a quello che sarebbe lo showdown tra le due personalità che in questi mesi si sono rincorsi come punti di riferimento dell’universo pentastellato: Di Maio, appunto; e Giuseppe Conte
Un parlamentare di rango ragiona: “Il giornale parla di fonti di altissimo livello. E quello è un giornale che parla con noi. Con tutti i nostri vertici. Non credo che Beppe Grillo possa aver accreditato una cosa del genere. Vuole tenere su questo governo, non gli converrebbe. Chi rimane?”.
La domanda è retorica. La stella magica intorno al leader valuta, soppesa. C’è un clima strano, di attesa, quasi a voler stanare il traditore, capire da dove filtra un leak così pesante senza voler intorbidire ancor più le acque. Il filo rosso che porta al premier è una cosa incredibile in quegli ambienti, nel senso più letterale della parola: non si vuol credere che sia stato possibile. Però.
“Però – ragiona un uomo vicino al capo politico – qualunque altro leader che non fosse Luigi sarebbe indubbiamente più debole. È una cosa che a Conte farebbe comodo”.
È una vera e propria caccia alle streghe. I parlamentari bombardano il quartier generale della comunicazione. È una corsa a sfilarsi, ad allontanare da sè i sospetti. Tutti vogliono uscire con comunicati di solidarietà . I telefoni delle persone che seguono da vicino il leader non hanno tregua. Le risposte sono distribuite con il contagocce. “Non capiscono – spiega una fonte vicina a Di Maio -. Non capiscono che così si mette a rischio tutto. Non solo il governo. Così rischia pure il Movimento 5 stelle”.
I dimaiani sono furiosi. Ritorna in pompa magna il sospetto che Lorenzo Fioramonti sia un apripista, che l’ambizione di Palazzo Chigi sia traghettare nell’alveo del centrosinistra un pezzo di Movimento, lasciando Di Maio con il cerino in mano.
Le smentite si accumulano, il piano sarebbe tanto surreale per la tenuta del governo che Conte stesso presiede quanto non inimmaginabile nella maionese impazzita che è la situazione politica di questi tempi. Il capo politico ieri sera, durante l’assemblea congiunta, ha sfidato tutto il gruppo: “Ora non va più bene niente, neanche il capo politico, neanche Rousseau, ma molti di voi sono stati eletti proprio grazie a queste cose che abbiamo costruito nel tempo”.
Argomento di poca presa logica e presa.
A Di Maio non va giù il metodo. “Perchè – spiega uno dei suoi – in assemblea nessuno parla, tutti applaudono, e poi tirano queste coltellate alle spalle”. Veleni su veleni. Racconta un collega del senatore Emanuele Dessì, uno dei latori del documento che contesta il cumulo delle cariche del ministro e leader: “Emanuele si è alzato in assemblea, ha detto che il suo era un contributo alla discussione. Poi ha detto di non capire come sia potuto finire alle agenzie prima ancora che fosse completato. Il punto è che lo sanno tutti come è finito alle agenzie: lo ha passato lui”.
La mannaia sui morosi delle rendicontazioni non farà sconti. Quella è la porta, ripetono ossessivamente i colonnelli M5s, le regole sono chiare. Mentre continuano gli addii, e i numeri al Senato si assottigliano sempre più, ma ci sono gli Stati generali a marzo, ed è lì che il Movimento rinascerà .
Dicono.
(da “Huffingtonpost“)
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