“IL FRANCO FCA HA PORTATO STABILITA’ E IN OGNI CASO I PAESI AFRICANI POSSONO USCIRNE”: INTERVISTA AL’EX AMBASCIATORE PIERRE JACQUEMONT CHE SBUGIARDA I DELIRI GRILLINI
“QUESTI PAESI SONO INDIPENDENTI E SONO LIBERI DI FARE LE LORO SCELTE”… I DATI DEL VIMINALE SMENTISCONO DI MAIO: DA COSTA D’AVORIO E MALI ARRIVANO POCHI PROFUGHI, IL GRILLINO NON SA NEANCHE DI COSA PARLA
“Quando si denuncia il colonialismo francese si insultano i paesi africani perchè non si riconosce la loro indipendenza e la loro capacità nel difendere la sovranità “.
Pierre Jacquemot, ricercatore esperto di questioni africane all’Istituto delle relazioni internazionali e strategiche (Iris) di Parigi ed ex ambasciatore, bolla così le recenti dichiarazioni del ministro per lo Sviluppo Luigi Di Maio, che in queste ultime ore ha aperto una nuova crisi con la Francia.
Commentando i flussi migratori provenienti dall’Africa subsahariana, Di Maio ha puntato il dito contro i cugini d’oltralpe, colpevoli di continuare a sfruttare le ex colonie africane attraverso il franco CFA, la moneta creata nel 1945 e ad oggi adottata in 14 paesi dell’Africa occidentale e centrale.
Uno strumento di instabilità per il ministro, utilizzato da Parigi per sfruttare gli stati che fino agli inizi degli anni sessanta erano sotto il suo dominio coloniale.
Parole che hanno suscitato l’irritazione del ministero degli Esteri francese, che questo pomeriggio ha convocato d’urgenza l’ambasciatrice, Teresa Castaldo, definendo le dichiarazioni di Di Maio “ostili e senza motivo”.
Un discorso polemico”, secondo Jacquemot, che ricorda come “non tutti i paesi che hanno il franco CFA sono delle ex colonie francesi”.
Il franco CFA è attualmente utilizzato in due unioni monetarie: la Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (CEMAC) e l’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa).
“Ci sono due banche centrali che sono totalmente africane e la Francia è presente nei rispettivi consigli di amministrazione” spiega il ricercatore.
Da anni al centro di forti polemiche, questa moneta è considerata da molti osservatori come un retaggio dell’epoca coloniale francese e un freno allo sviluppo dei paesi che la utilizzano.
Ma per Jacquemot, la moneta è prima di tutto sinonimo di “stabilità ” visto che nei paesi dove viene utilizzata il tasso di inflazione resta basso.
Un dibattito inutile quindi, soprattutto perchè ormai “la Francia non ha più la sua moneta ed oggi il franco CFA ha un cambio fisso con l’euro”.
“Ci sono molte false idee sulla ‘zona franco’ — continua Jacquemot – e mi sembra importante insistere sul fatto che questi paesi sono indipendenti e sono liberi di fare le loro scelte economiche e politiche”.
Tuttavia, Parigi mantiene dei legami molto stretti con il franco CFA: gli stati africani devono versare ogni anno al ministero delle Finanze francese il 50% delle loro riserve di cambio, per ricevere in seguito gli interessi da parte della Banca di Francia.
Una sorta di “conto in banca” per Jacquemot, che rappresenta un “vantaggio” visto che in questo modo “i paesi membri possono ottenere la valuta necessaria per garantire le importazioni di beni di prima necessità “.
Ma “i paesi possono scegliere di abbandonare il franco CFA” quando vogliono, sottolinea lo specialista, ricordando l’esempio della Mauritania e del Madagascar.
Una scelta, però, che rischia di portare a “un’importante inflazione” che farebbe aumentare il prezzo delle importazioni di prima necessità , come ad esempio quelle di generi alimentari
Del resto, anche il presidente Emmanuel Macron in occasione della sua ultima visita in Africa a fine novembre ha ribadito la piena libertà dei paesi africani nel decidere se continuare o meno ad adottare la valuta.
“L’uscita può avvenire progressivamente” spiega poi Jacquemot, ricordando però che “c’è un’altra opzione che potrebbe essere più interessante e consisterebbe nel creare una zona monetaria totalmente africana su base regionale”.
In ogni caso, “è un scelta che devono prendere gli africani e non la Francia”. “Ormai — continua Jacquemot — la Francia con le sue ex colonie non ha più quella relazione privilegiata che poteva esserci trenta o quaranta anni fa”.
Le uniche “vestigia” di un colonialismo ormai passato vengono testimoniate dalla lingua francese ancora parlata nelle ex colonie.
Del resto, a confermare il fatto che il franco CFA non è la causa principale dei flussi migratori ci sono anche i dati forniti dal Ministero degli Interni italiano sul suo sito. Le prime cinque nazioni tra il 1997 e il 2017 per numero di richiedenti asilo sono state Nigeria, Pakistan, Ex Jugoslavia, Iraq e Bangladesh. Paesi che non dispongono del franco CFA come moneta corrente.
(da “Huffingtonpost”)
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