IL PIANO B DEL GOVERNO: MAGGIORANZA AL SENATO CON SEL ED EX GRILLINI
ALFANO: “PRONTI A ROMPERE CON CHI PONE VETI SULLE RIFORME”
«I numeri li abbiamo comunque». Dopo la minaccia di Berlusconi di far saltare l’accordo sulle riforme, è il ministro Maria Elena Boschi a rispondere con un avvertimento rivolto a Forza Italia.
«Se dovesse sfilarsi», puntualizza la renziana, si andrebbe avanti con i soli voti della maggioranza. A palazzo Chigi restano comunque convinti che le ultime uscite di Berlusconi siano legate a un problema personale (i servizi sociali in arrivo) e alla campagna elettorale e non mettano a rischio l’intesa.
«Scommetto sulla tenuta dell’accordo», afferma infatti Boschi. L’altolà del ministro provoca in ogni caso una raffica di reazioni pesanti da parte di Forza Italia e s’intuisce una divaricazione fra i dialoganti e l’ala dura.
Mentre il Cavaliere rilancia sul presidenzialismo, una colomba come Giovanni Toti in tv chiarisce che sulla fine del Senato «i margini di accordo ci sono, ma solo se non viene chiesta la fiducia nè a colpi di maggioranza».
Mentre il falco Renato Brunetta sfida Denis Verdini (architetto dell’intesa) a rendere pubblico il testo dell’accordo del Nazareno per vedere chi «bara» tra FI e Pd.
Stretto nella dialettica tra i due partiti maggiori prova ad alzare la voce anche Angelino Alfano: «Siamo pronti anche a strappi e a rotture: chi vuole starci, ci sta».
Esiste un piano B, nell’immenso risiko sulle riforme combattuto da Matteo Renzi. Prevede di sostituire le truppe di Silvio Berlusconi con una pattuglia di senatori che siedono alla sinistra del premier.
Si tratta dei sette vendoliani e di almeno una decina di ex grillini, disponibili a fondere le proprie proposte con il ddl alternativo sottoscritto da ventidue senatori dem.
Una falange di quaranta parlamentari in tutto, decisivi se dovesse saltare il patto del Nazareno.
Gli ambasciatori di questo nuovo centrosinistra si incontreranno entro mercoledì. E a quel punto l’alternativa al Cavaliere sarà recapitata a Palazzo Chigi. «Nessuno vuole boicottare il percorso — prova a rassicurare Pippo Civati — ma solo allargare il consenso sulla riforma. Perchè impuntarsi?»
In fondo, anche il ministro Maria Elena Boschi ha lasciato intendere che esiste un’alternativa al matrimonio con il capo di Forza Italia. È il doppio forno a disposizione del premier, un’arma rimasta finora nascosta nella fondina di Renzi.
Non è detto che servirà davvero brandirla, ma di certo consentirà al presidente del Consiglio per ridurre il potere di veto del leader azzurro
Le prove generali di una maggioranza diversa andranno in scena attorno al testo di riforma messo nero su bianco da Vannino Chiti. È stato sottoscritto da 22 senatori, tra i quali civatiani, sinistra democratica, parlamentari del Pd senza casacca.
La novità delle ultime ore è che il consenso sul testo è destinato ad allargarsi parecchio, fino a toccare quota quaranta senatori.
Una girandola di contatti tra Chiti e Campanella, Civati e vensi doliani ha preparato il terreno nel week end. Sel, per dire, ha fatto il punto ieri, dando il via libera a una proposta che ricalca quella della sinistra democratica. Prevede, tra l’altro, un Senato elettivo e un diverso bilanciamento delle funzioni di Camera e Senato. «È molto positivo che avvii il confronto — rileva il senatore Peppe De Cristofaro — ed è possibile una convergenza con i progetti simili al nostro»
Gli ex grillini, poi, sono una galassia in eterno movimento pronta a strutturarsi in un nuovo gruppo di almeno dieci senatori.
Il regista dell’operazione è Francesco Campanella. Ha già presentato una proposta simile a quella di Chiti — riduzione dei parlamentari, niente fiducia per Palazzo Madama e senatori eletti — ed è disponibile a ragionare su una convergenza: «È interessante cooperare per evitare lo smembramento del Senato.
Non è solo una possibilità da valutare, ma da parte nostra addirittura da ricercare. Ci incontreremo in settimana».
Come se non bastasse, altri scontenti del Pd potrebbero essere della partita. Non lo nasconde Angelica Saggese, che pure non ha firmato il ddl Chiti: «Se Renzi la mette nei termini del “prendere o lasciare”, io non ho problemi a lasciare. Ma rilevo in queste ore diverse aperture del governo…»
Per il premier, in realtà , non sarà facile sostituire il Cavaliere. Non si tratta solo di rinunciare ai sessanta voti a disposizione di Forza Italia.
Far saltare l’accordo del Nazareno rimetterebbe in discussione anche l’Italicum, consegnando la riforma elettorale al gioco di veti incrociati dei partitini di maggioranza.
Dal quartier generale di Arcore, intanto, continuano ad arrivare segnali ambigui. Giovanni Toti, ad esempio, giura che l’accordo del Nazareno reggerà , a patto che il ddl del governo venga sottoposto a «revisione »
La verità è che l’ex premier è alla disperata ricerca di nuovi margini di manovra. Fissa paletti, minaccia di ribaltare il tavolo, si agita in attesa dell’udienza del 10 aprile che lo destinerà ai servizi sociali o ai domiciliari.
Domina l’incertezza, eppure la contraerea berlusconiana interviene in difesa del leader: «Il Pd sostiene che va avanti sulle riforme anche senza di noi? Si tratta di una prova di debolezza — giura Deborah Bergamini — basta considerare che quaranta senatori democratici sono contrari alla riforma del governo…».
Forza Italia, in ogni caso, è allo sbando. E un gesto inconsulto del Cavaliere sulle riforme potrebbe provocare nuove scissioni proprio a Palazzo Madama.
Lo lascia intendere il sottosegretario montiano Benedetto Della Vedova: «Per Berlusconi sarebbe una scelta suicida lasciare l’unico tavolo nel quale conta. Se dovesse rompere immotivatamente, troveremmo comunque una maggioranza per approvare il testo. E aumenterebbe pure la maggioranza del governo…».
Sette, otto senatori azzurri sono già pronti a trasferirsi nel Nuovo centrodestra.
Si tratta di berlusconiani delusi, parlamentari messi ai margini dal cerchio magico di Arcore e senatori campani che fanno capo a Nicola Cosentino.
Si legheranno ad Angelino Alfano, come faranno nel medio periodo anche i Popolari di Casini e Mauro. «Dopo l’alleanza per le Europee — conferma Antonio De Poli (Udc) — ci muoveremo insieme al Ncd anche sulle riforme, non c’è dubbio ».
(da “La Repubblica”)
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