IL POPULISMO STA PER FINIRE, I SEGNALI SONO CHIARI: E GRILLO E SALVINI SI PREPARANO A DIVENTARE EUROPEISTI
IL FLOP DELLE MANIFESTAZIONI A ROMA, L’INATTESO SUCCESSO DI QUELLA ANTI-BREXIT A LONDRA, LE SCONFITTE DI HOFER E WILDERS A CUI SEGUIRANNO QUELLE DELLA LE PEN E AFD IN GERMANIA, LA SCONFITTA DI TRUMP…. NON A CASO GRILLO E SALVINI ORA SMORZANO I TONI
Il lungo sabato romano dedicato all’Europa è in sè un segnale, per chi lo vuole cogliere, che viene dalla piazza tanto quanto dal Campidoglio e dai palazzi che ospitano le cerimonie del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma.
È un segnale che prende le mosse da una considerazione condivisa: l’Unione non è agonizzante e, anzi, da oggi riprende a camminare e crescere.
L’Europa è il nostro futuro comune, scandiscono i partecipanti al corteo allegro e ottimista dei Federalisti Europei e a quello, più critico, di Nostra Europa, che si fondono davanti all’arco di Costantino.
Lo ribadiscono i leader dei sei paesi fondatori negli anni Cinquanta della CECA, del MEC e della CEE, dai quali discende la UE. Con qualche distinguo, lo dicono anche gli altri europei, i rappresentanti degli stati ex socialisti che si sono aggregati all’Unione per convenienza più che per convinzione, come la Polonia, e di quelli che hanno sofferto crisi drammatiche, come la Grecia.
La sensazione è che il flop delle iniziative antieuropee nella capitale italiana e la contemporanea manifestazione londinese contro la Brexit concludano un mese che prelude a un turning point, a un significativo cambiamento nella politica e nella società a livello globale.
C’è un “sentiment” nuovo dopo la fase oscura scandita dal sì all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione e dal voto presidenziale negli USA.
Prima l’Austria ha bocciato lo xenofobo Hifer, poi due settimane fa l’Olanda ha riservato la stessa sorte a Geert Wilders, ribadendo la vocazione all’apertura di uno dei paesi che hanno storicamente più creduto nell’Europa.
Poche ore fa Donald Trump, stella polare dei populisti, è stato costretto a ritirare la proposta di legge che, se approvata, avrebbe abrogato la riforma sanitaria di Obama: fosse andato al voto, il Congresso avrebbe bocciato, grazie al no di molti repubblicani, la prima iniziativa legislativa davvero antipopolare del tycoon e showman diventato presidente.
Il vento non più solo distruttivo potrebbe soffiare anche in occasione delle elezioni per l’Eliseo e di quelle politiche tedesche di settembre.
È probabile che i vincitori siano il liberalsociale Emmanuel Macron e uno tra Merkel e Schultz, con le conseguenti sconfitte dei reazionari Marine Le Pen e di Alternative fà¼r Deutschland.
Beppe Grillo e Matteo Salvini se ne rendono conto e ne sono spaventati. Nelle ultime settimane hanno attenuato i toni degli attacchi e delle polemiche.
Attendono anche loro l’onda lunga delle già avvenute sconfitte dei loro punti di riferimento olandesi e americani. Vogliono valutare se il rilancio della UE abbia effetti tangibili.
Soprattutto, guarderanno con qualche ansia ai risultati francesi, che potrebbero sancire la sconfessione di scelte tattiche apparse vincenti per mesi.
In Italia si voterà per Camera e Senato la prossima primavera, anche se le amministrative di giugno saranno un test non marginale. Abbiamo imparato che, nell’era degli smartphone e dei social, in un anno o due può cambiare tutto.
L’ha capito Matteo Renzi, passato dall’esaltazione del 41 per cento alla depressione del brutale no alla riforma istituzionale.
Se ne rendono conto tutte le opposizioni, pur ringalluzzite dal ritorno al proporzionale.
Il basso profilo sta tornando a essere un valore, come dimostrano la campagna elettorale olandese e il lavoro oscuro messo a reddito dai democratici in occasione della battaglia sull’Obamacare.
Qualcuno anche in Italia comincia a pensare che convenga darsi da fare senza spararle sempre grosse e senza dare l’impressione di voler decidere per tutti. Come fa Paolo Gentiloni.
(da “Huffingtonpost“)
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