IL POTERE GRIGIO DEGLI OLIGARCHI: POCHI I GIOVANI, DALLA POLITICA ALLE BANCHE
ABBIAMO LEADER POLITICI LA CUI ETA’ MEDIA E’ INFERIORE SOLO A QUELLA DELLA COREA DEL NORD… SIAMO UN PAESE, SEMPRE PIU’ DOMINATO DAI VECCHI, CHE HA PERSO SLANCIO, FIDUCIA E VITALITA’…UN SISTEMA A CORTO DI IDEE E DI CORAGGIO, INCAPACE DI RISCHIARE…L’ANALISI DI ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
Il giovanilismo è di nuovo alla ribalta della scena italiana, chiamato a recitare la parte che da trent’anni è sempre la sua: i «giovani» (o per meglio dire poche decine di migliaia di questi che manifestano con parole d’ordine di sinistra) sarebbero gli araldi del «cambiamento», della «svolta», del «risveglio», l’avanguardia della protesta di tutta la società contro il potere cattivo di turno, preludio alla sua sospirata mandata in soffitta.
Naturalmente, si scopre in breve che «i giovani» (sempre e solo studenti: sembra che in Italia, chissà perchè, per avere la titolarità anagrafica della gioventù si debba evitare accuratamente qualunque rapporto con il lavoro manuale) non annunciano in realtà nulla di quanto sperato, la protesta si spegne, e tutto torna come prima, mentre il Paese resta in attesa della prossima immancabile «rivolta», con le stesse immancabili foto di cortei, gli stessi immancabili articoli entusiasti dei giornali, le stesse penose interviste ai presunti ribelli.
Ma l’apparenza inganna.
La fortuna politico-mediatica del giovanilismo è solo un modo per nascondere la realtà : e cioè che l’Italia della Seconda Repubblica è un Paese sempre più dominato dai vecchi.
Lo è innanzi tutto per un puro fatto biologico-anagrafico: perchè la combinazione della scarsa natalità e della diminuita mortalità ha reso gli ultrasessantacinquenni sempre più numerosi.
Ma più in generale perchè negli ultimi vent’anni, in coincidenza con una fase ormai lunghissima di ristagno economico, il Paese ha perso slancio, fiducia e vitalità , è andato ripiegandosi su se stesso.
La società italiana si è progressivamente rinchiusa dietro le antiche difese che la sua storia ha costruito.
Dietro la famiglia, ma ancor di più dietro la corporazione e l’oligarchia, quasi sempre saldate insieme in un blocco ferreo.
In nessun altro Paese dell’Europa occidentale come in Italia, i vertici degli ambiti lavorativi sia pubblici che privati con un minimo di qualificazione sono protetti da regole di accesso, formali o informali, le quali di fatto sbarrano il passo a chiunque non si trovi già inserito nel personale da decenni o non goda di appoggi potentissimi.
La generale, feroce ostilità al merito, unita al culto del principio della «carriera» e al legalismo spietato custodito dal Tar – tre pilastri della burocrazia statale – si rivela un’arma efficacissima per impedire ai funzionari più giovani e intraprendenti di scalare rapidamente gli alti gradi.
Dell’università neppure a parlarne.
Ma, ripeto, non è solo lo Stato: il sistema bancario, ad esempio, è ormai da decenni nelle mani degli stessi mentre i nuovi ingressi avvengono con il contagocce.
In complesso, poi, tutti i consigli d’amministrazione del settore privato vedono la presenza strabordante di persone intorno ai settant’anni.
La politica non dà certo il buon esempio: non solo ritirarsi da essa a una certa età per dedicarsi a qualche altra attività è cosa da noi sconosciuta, non solo perlopiù l’età media dei leader italiani è seconda solo a quella della Corea del Nord, ma ogni volta che essa è chiamata a nominare i vertici di qualcuno dei mille enti alle sue dipendenze, si può essere sicuri che nel novanta per cento dei casi sceglierà un vecchio politico o un vecchio burocrate con una lunga carriera alle spalle nei più svariati incarichi (ognuno dei quali in genere non c’entra nulla con l’altro), messo lì soprattutto come ricompensa o per tutelare chi di dovere.
Una persona giovane, un quarantenne dinamico, mai: si può essere sicuri.
Oltre a essere un potere ancora oggi massicciamente maschile, il potere italiano è un potere vecchio e di vecchi: privo di gusto per il nuovo, a corto di idee e di iniziative coraggiose, incapace di rischiare davvero.
Ampolloso e ripetitivo, è abituato a muoversi con circospezione pari al suo stanco scetticismo.
Un potere rappresentato da volti che abbiamo sotto gli occhi da così tanto tempo che ormai ci sembrano eterni, la sua durata media essendo a un dipresso il mezzo secolo.
In questo modo sulla scena italiana i giovani diventano sempre meno visibili. Tanto è vero che capita ormai frequentemente di trovarsi in situazioni o immersi in pubblici in cui tutti hanno un’età come minimo matura.
Mentre, quasi in risposta all’ostilità ambientale e anche in ragione delle differenze di reddito, i giovani – e non necessariamente i soli adolescenti (penso ad esempio alle giovani coppie) – tendono a creare e frequentare circuiti loro propri. All’insegna di valori separati.
Adulati e additati alla pubblica ammirazione come gli araldi del nuovo, gli italiani giovani di fatto sono gli ostaggi segregati (e le vittime) di tutto ciò che è vecchio.
Ernesto Galli Della Loggia
(da “Il Corriere della Sera“)
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