IL RACCONTO DELL’UNICO GIORNALISTA CHE E’ RIUSCITO A ENTRARE NELLA CITTA’ SIRIANA COLPITA DALL’ATTACCO CHIMICO
IL CRONISTA DEL GUARDIAN: “DOVUNQUE GUARDASSI VEDEVO SOLO CADAVERI”
“Khan Sheikhun è una città fantasma, le sue strade sono deserte, silenziose, è come se fosse in lutto per le vittime dell’attacco di due giorni fa”. Sono le prime parole di Kareem Shaheen, il primo giornalista a essere entrato nella città siriana dopo l’attacco chimico che ha causato più di 70 morti.
Una testimonianza, quella pubblicata dal Guardian, che racconta da vicino quanto accaduto, l’ultimo capitolo di una guerra lunga sei anni, una guerra che sta devastando un intero paese.
Unico segno dell’attacco, come racconta Shaheen, è un piccolo cratere nella zona settentrionale della città , il punto dove è caduto l’ordigno, di cui sono rimasti piccoli frammenti verdi.
Ma oltre al cratere, nell’aria si percepisce ancora “un flebile odore che pizzica le narici. Le case si sono svuotate”.
I sintomi riportati dalle vittime evidenziano l’utilizzo del sarin, l’agente nervino che, in un attacco risalente al 2013, aveva ucciso più di mille persone in una zona vicina a Damasco.
Dopo quell’attacco, il regime aveva consegnato tutte le sue armi chimiche. A dimostrazione di ciò, e in supporto a Bashar al-Assad, è intervenuta Mosca, affermando che la presenza del gas “sia dovuto all’esplosione di una fabbrica dei ribelli in cui era custodito l’agente chimico, fuoriuscito, quindi, in seguito alle varie esplosioni dovute ai bombardamenti delle forze governative”.
Ma il giornalista del Guardian è andato a ispezionare la zona colpita dai bombardamenti: “C’erano un magazzino e alcuni silos, per il resto era un luogo abbandonato che puzzava di concime animale e di grano”, scrive Shaheen.
Non solo, i residenti sopravvissuti hanno affermato che quei silos erano già stati danneggiati sei mesi fa durante un raid aereo e che da allora erano in stato di abbandono.
“Lo puoi vedere: non c’è niente là , tranne un po’ di grano e del concime. C’è anche una capra morta, soffocata dal gas”, spiega uno dei superstiti.
E i residenti negano quanto affermato da Mosca: “Non c’è alcuna prova che qui fosse conservato del gas, non c’era”.
Altri hanno raccontato a Shaheen quello che hanno visto: “Era come assistere al Giorno del Giudizio”, afferma Hamid Khutainy, un volontario della protezione civile di Khan Sheikhun.
Gli attacchi sono iniziati poco dopo le 6 e 30 del mattino. La gente pensava fosse solo un altro attacco aereo, fino a quando i primo soccorritori hanno iniziato ad accusare i primi sintomi, cadendo a terra e perdendo i sensi.
Khutainy spiega il caos che la città stava vivendo in quegli istanti: “Ci hanno detto di ‘aver perso il controllo'”, ma non capivamo cosa volessero dirci. Poi un’altra comunicazione, ‘Salvateci, non possiamo più camminare’.
A quel punto abbiamo mandato due squadre con le maschere antigas. Anche noi che stavamo a 500 metri dalla zona colpita potevamo sentire l’odore”.
Una scena terrificante: gente ferita stesa a terra colpita da convulsioni, altri schiumavano dalla bocca, avevano le labbra blu, svenivano e si riprendevano, per poi svenire ancora. Tra questi tanti bambini. “Dovunque guardassi – spiega un testimone – vedevo solo cadaveri”.
I pochi sopravvissuti sono stati raggruppati insieme, in modo da poter fornire loro l’assistenza necessaria. Molti di questi stavano in una struttura medica.
E mentre medici e paramedici cercavano di intervenire e aiutare queste persone, sono partiti “8 o 10 attacchi aerei. Il soffitto è crollato, i morti sommersi dalle macerie. Non si poteva fornire più aiuto a nessuno”.
Tutto ciò che era custodito all’interno dell’ospedale era inutilizzabile. Non c’era nemmeno più corrente elettrica.
“Forse i piloti avevano sentito quella leggenda per cui dopo 48 ore che sei morto per colpa del sarin, poi ritorni in vita”, ironizza un ufficiale del gruppo ribelle Ahrar al-Sham. “Deve essere per questo che hanno bombardato. Ma grazie a Dio ci sarà un Giudizio Universale anche per queste persone”.
Tra i superstiti incontrati da Shaheen c’era anche Abdulhamid al-Yousef, che solo il giorno prima aveva assistito ai funerali della moglie e delle due figlie gemelle di appena nove mesi. Morte a causa del gas.
Come loro, anche molti altri suoi parenti hanno perso la vita in seguito all’attacco.
La sera, dopo il bombardamento, Yousef ha insistito per portare le sue due bambine in braccio fino al cimitero, dove sarebbero state sepolte. Era quasi in trance, ripeteva in continuazione i loro nomi, tra le lacrime e i singhiozzi.
(da “Huffingtonpost“)
Leave a Reply