IL TERRORE DEL GOLPE CHE ALEGGIA SUL VOTO IN BRASILE
IN QUESTO MESE SI DECIDERA’ SE IL FUTURO DEL BRASILE SARA’ DEMOCRATICO
Domenica si è svolto il primo turno delle elezioni in Brasile, è arrivato primo Lula, in netto vantaggio sul presidente uscente Bolsonaro. Il Ballottaggio tra i due si svolgerà il 30 ottobre, in mezzo c’è ancora un mese di campagna elettorale, con la paura per la stabilità della democrazia brasiliana, e rischi di delegittimazione del processo elettorale o addirittura di un colpo di stato.
Lula ha ricevuto circa il 48.4% dei voti al primo turno (mentre scrivo mancano ancora i dati di qualche sezione), staccando Bolsonaro, che si è fermato al 43.2%, di oltre 6 milioni di voti.
La loro è una sfida che viene da lontano: Lula si è avvicinato alla politica negli anni 70, come sindacalista degli operai metalmeccanici, mentre il Brasile era ancora oppresso da una dittatura militare. Nel 1980 fonda il Partito dos Trabahadores (PT) e dopo molti tentativi, nel 2003 riesce a essere eletto Presidente del Brasile.
Lula durante la sua presidenza, durata otto anni, ha aiutato decine di milioni di brasiliani a uscire dalla fame e dalla povertà, grazie a imponenti programmi di welfare. Nel 2018 è stato incarcerato, per accuse di corruzione, impedendogli di candidarsi contro Bolsonaro, che ha vinto le elezioni. Il Magistrato che l’ha perseguito, Sergio Moro, è stato subito nominato da Bolsonaro ministro della Giustizia, confermando i sospetti di politicizzazione su un processo che appariva già molto dubbio.
Infatti, nel 2019 Lula è stato scarcerato, e nel 2021 la Corte Suprema Federale ha annullato la sua condanna per corruzione, notando gravi irregolarità nel processo a suo carico.
Tornato libero Lula si è subito candidato per le elezioni del 2022, promettendo una riforma fiscale che permetterà una maggiore spesa pubblica. Ha promesso di porre di nuovo fine alla fame nel Paese, che è tornata durante il governo Bolsonaro. Lula promette anche di ridurre le emissioni e la deforestazione in Amazzonia.
La paura di Lula e dei suoi sostenitori è che Bolsonaro stia preparando un colpo di stato, in caso di sconfitta elettorale.
A maggio sono stato in Brasile e ho incontrato Lula, insieme alla sua squadra e ai dirigenti del PT la sua formazione politica. Mi ha raccontato la sua visione di un Brasile che riesca a integrarsi di più con gli altri paesi del Sudamerica, seguendo l’esempio dell’Unione Europea (ma senza replicarne il deficit democratico), e la volontà di combattere nuovamente la povertà, coniugare sviluppo e protezione sociale e difendere la costituzione brasiliana.
Quest’ultimo punto lo preoccupa particolarmente, mi ha parlato con preoccupazione della tenuta democratica del paese, esprimendo timori di un possibile “6 Gennaio” con riferimento all’assalto statunitense al Campidoglio favorito da Trump, di cui Bolsonaro è sempre stato un acceso sostenitore durante tutta la sua presidenza. Con la differenza, che se l’assalto a Capitol Hill negli Stati Uniti, è stato compiuto da improbabili guitti, in Brasile il timore è che intervenga l’esercito. Queste preoccupazioni hanno un fondamento: Bolsonaro in tutta la campagna elettorale, trovandosi in svantaggio, ha attaccato il tribunale federale del Brasile, che si occupa delle elezioni, e il sistema di voto elettronico brasiliano, per delegittimare il processo democratico. Inoltre, ha fatto girare la voce che se non dovesse vincere al primo turno (come infatti poi è successo) sarebbe stata colpa di elezioni truccate.
Lula non era il solo a essere preoccupato, anche Geraldo Alckimin a lungo governatore dello stato di San Paolo e oggi suo candidato alla Vicepresidenza condivide i suoi timori. Viene da una storia politica più moderata rispetto a Lula (nel 2006 erano addirittura stati avversari alle presidenziali) ma ha deciso di sostenerlo perché preoccupato dall’erosione delle istituzioni portata avanti da Bolsonaro. A maggio mi ha detto che al netto delle differenze politiche tutte le forze democratiche devono unirsi per fronteggiarlo e difendere la Costituzione.
Oltre a Lula, ho incontrato anche il Vicepresidente del PT, Luiz Dulci, Aloizo Mercadante e Cezar Alvarez due tra i fondatori e massimi dirigenti del PT, che hanno a lungo accompagnato Lula nelle sue esperienze elettorali e di governo. Anche loro sono molto preoccupati dal possibile tentativo di Bolsonaro di non riconoscere il risultato elettorale, mi hanno raccontato che è stato l’ultimo capo di stato a riconoscere la vittoria di Biden, mesi dopo le elezioni e quando un membro del governo americano è venuto in visita ufficiale in Brasile gli ha detto “il vostro presidente è Trump, ha vinto lui le elezioni”.
Su Bolsonaro avevano una posizione molto dura, dicono che “ammira i torturatori, non ha rispetto per la democrazia né per le istituzioni, non è in grado di tenere unito il Brasile”.
Tutta questa preoccupazione per un possibile colpo di stato, che era stata condivisa da Celso Amorim, ex Ministro degli Esteri e poi della Difesa durante la Presidenza prima di Lula e poi di Dilma Roussef, si traduce in una richiesta di aiuto, anche all’Occidente. Lula e i suoi sostenitori chiedono attenzione da parte della comunità internazionale, e che ci sia un impegno per riconoscere il risultato delle elezioni e impedire che il processo democratico venga distorto.
Tutti i sondaggi dell’ultimo anno danno Lula in vantaggio nel ballottaggio con Bolsonaro, e anche l’assenza dei candidati minori dovrebbe favorirlo: dopo i due vincitori del primo turno, con un netto distacco si piazzano la Senatrice Simone Tebet, di centrodestra, con circa il 4.2% dei voti e Ciro Gomes, Partido Democrático Trabalhista, (PDT) di centrosinistra, con il 3% dei voti.
Nei sondaggi entrambi i loro elettori risultano avere una netta preferenza per Lula, se l’alternativa è Bolsonaro. Dipenderà anche dalla decisione di questi candidati di schierarsi o meno.
In un mio precedente viaggio in Brasile nel 2018, il Presidente della Juventude Socialista, organizzazione giovanile del PDT che sosteneva Ciro Gomes, anche allora candidato, mi ha detto che al ballottaggio, hanno si sostenuto Haddad, candidato del PT contro Bolsonaro, ma senza fare campagna elettorale attiva per lui.
Dopo la vittoria del 2018, Bolsonaro ha confermato la sua impostazione di estrema destra durante tutta la presidenza: ha dato mano libera alle multinazionali del legno per deforestare l’Amazzonia, reprimendo il dissenso della popolazione indigena, ha più volte negato la pericolosità del Covid-19, opponendosi all’uso delle mascherine e dei vaccini, ha facilitato il possesso di armi, e ha provato ad assottigliare i confini tra politica ed esercito, chiedendo al capo dell’esercito di criticare pubblicamente i suoi avversari politici.
Per protesta contro questo tentativo di politicizzare le forze armate, nel 2021 si sono dimessi simultaneamente i comandanti dell’esercito, della marina e dell’aviazione brasiliana.
Questo comportamento di Bolsonaro, unito al fatto che è apertamente un ammiratore della passata dittatura militare brasiliana, desta preoccupazioni su cosa possa fare, se non dovesse riconoscere il risultato delle elezioni, e se questo processo di delegittimazione democratica possa sfociare in tensioni e scontri, o addirittura un colpo di stato.
In questo mese si deciderà non solo chi governerà, ma anche se il Brasile resterà un paese libero e democratico.
(da Huffingtonpost)
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