IL TRIPLETE DI MARONI: LUI INDAGATO, IL VICE ARRESTATO, IL BRACCIO DESTRO INQUISITO
LA SPONDA DI SALVINI POTREBBE VENIRE MENO A DICEMBRE IN CASO DI CONDANNA IN PRIMO GRADO DELL’UOMO DELLA RAMAZZA PER I FAVORI ALLA SUA COLLABORATRICE DEL “LEGAME AFFETTIVO”
“Si va avanti”. Nel giorno più nero per la giunta lombarda a guida Lega, Roberto Maroni e Matteo Salvini si incontrano in mattinata a Palazzo Lombardia a Milano e cercano insieme la strada per uscire dall’angolo.
“Forza e coraggio”, è l’esordio del leader leghista. “Nessun passo indietro, non mi farò intimidire”, sussurra il governatore, che rinuncia al previsto viaggio a palazzo Chigi per discutere col governo e Pisapia del destino delle aree Expo e resta chiuso nel suo ufficio in cima al grattacielo.
La botta è fortissima, per una Lega impegnata a contendere i voti di protesta ai grillini, ma la exit strategy è individuata subito nello scaricare al suo destino Mario Mantovani, vicepresidente finito in carcere
La linea leghista prevede dunque la difesa a oltranza di Massimo Garavaglia, potente assessore all’Economia.
“Sono rimasto stupito dell’arresto di Mantovani e mi auguro che sarà in grado di dimostrare la sua correttezza. Da quanto si apprende, la gran parte delle contestazioni che gli vengono rivolte sono estranee al suo incarico in Regione”, scrive il governatore.
Una nota molto sintetica, dunque, che non pare proporzionata al terremoto che ha investito Palazzo Lombardia: con il vicepresidente in carcere, il governatore a giudizio il 1 dicembre per presunte pressioni in favore di due sue collaboratrici e l’assessore all’Economia indagato.
Un “triplete” al cui confronto gli scontrini che sono costati la poltrona di sindaco a Ignazio Marino appaiono davvero poca cosa.
E tuttavia, a differenza dei vertici Pd, Salvini ha deciso di avallare la scelta di Maroni di resistere.
E anche gli altri partner di maggioranza, Forza Italia e Ncd, paiono assolutamente intenzionati a respingere le mozioni di sfiducia alla giunta già annunciate da Pd e M5s.
“Una cosa è certa: il lavoro della Lombardia non deve essere interrotto, ma procedere all’insegna della trasparenza”, mette a verbale Mariastella Gelmini.
Così anche il coordinatore lombardo di Ncd Alessandro Colucci e il capogruppo al Pirellone Luca Del Gobbo: “Confermiamo pieno sostegno e fiducia a Maroni”.
L’idea, condivisa da tutto il centrodestra, è che non si possa ripetere un replay del 2012, quando fu la stessa maggioranza, a partire dalla Lega, a sfrattare Formigoni dopo lo tsunami giudiziario.
E poi le dimissioni di Maroni porterebbero dritte al voto a giugno per le regionali, in concomitanza con il Comune d Milano: e il rischio sarebbe quello di far fare l’en plein al Pd.
Per Maroni il momento però resta molto buio.
Per l’ex ministro dell’Interno, l’uomo che ha scalato la Lega di Bossi impugnando le ramazze contro il cerchio magico del Senatur e i diamanti dell’ex tesoriere Belsito, è certamente un grosso danno di immagine.
Un handicap anche per il suo ritrovato protagonismo sulla scena politica nazionale. Ma la convinzione di Maroni è che ci siano “tutte le condizioni” per andare avanti.
La fiducia in Garavaglia resta piena, e lo stesso assessore si è detto pronti a farsi “ascoltare subito” dai magistrati.
La linea dunque è quella di resistere. Giovedì ci sarà una riunione della maggioranza, in vista del voto della mozione di sfiducia congiunta Pd-M5s previsto in Aula per il 20 ottobre. Ma non sono previste crepe nella maggioranza.
Si aspetta l’esito del processo di primo grado a Maroni, fissato per il primo dicembre davanti alla quarta sezione penale del tribunale di Milano.
L’accusa è di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente e induzione indebita per le presunte pressioni per favorire due sue collaboratrici: una con un impiego in una società della Regione (Eupolis) con un compenso da 29.500 euro l’anno, e l’altra per un viaggio a Tokyo dal costo di 6mila euro. Quella missione fu annullata all’ultimo dallo stesso Maroni, che mandò in Giappone proprio il vicepresidente Mantovani.
In caso di condanna in primo grado rischia di decadere per effetto della legge Severino.
E in quel caso la sponda di Salvini rischia seriamente di venire meno.
“Le situazioni si difendono fin dove è possibile, ma è chiaro che Matteo non si immolerà sull’altare della regione Lombardia”, è il ragionamento nella cerchia più stretta del leader della Lega.
(da “Huffingtonpost”)
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