ILVA, IL RICATTO ELETTORALE DEI PADRONI DELLA FERRIERA
L’AZIENDA A TECNICI E PARTITI: “SE CHIUDIAMO È COLPA DEI GIUDICI”… IL PD CHIEDE AL PROCURATORE DI CANDIDARSI, MA LUI RISPONDE NO
Tutto, per il momento, torna alla normalità a Taranto.
Città dell’acciaio, dei due mari e della realtà capovolta.
Perchè qui chi chiede lavoro ha torto, chi invoca il diritto a non essere avvelenato da polveri e fumi deve tacere, chi cerca di imporre il rispetto della legge anche ad un colosso dell’economia nazionale viene ammonito al rispetto di norme fragili e contraddittorie.
E chi invece è accusato di aver avvelenato l’aria e la terra, l’acqua e il cibo fino a provocare malattie e morte, alla fine ha ragione su tutti ed impone una sola verità . La sua.
Perchè l’Ilva dà lavoro e pane, è il pilastro dell’economia della Puglia e l’acciaio è una produzione strategica per l’Italia intera.
E poi c’è la campagna elettorale, le piazze aperte, il potere che chiede nuove legittimazioni: non si può andare alle urne con 12mila famiglie senza stipendio , esasperate e l’incubo che chiuda tutto, Taranto, Genova e le altre città dell’acciaio. E allora lo sciopero è sospeso, il lavoro riprende nel-l’attesa di nuovi eventi.
Il vertice di venerdì sera a Palazzo Chigi con Monti, i ministri, i sindacati, la Regione, il Comune, la Provincia e l’Ilva, ha partorito un topolino di pericolose ovvietà .
La legge, quella approvata alla vigilia di Natale che autorizza l’Ilva a produrre utilizzando il materiale sequestrato dalla magistratura, va rispettata da tutti.
Ma il discorso è rivolto unicamente ai pubblici ministeri che il 26 luglio bloccarono 1 milione e 700mila tonnellate di coils e lamiere, perchè pro-dotte violando le norme che tutelano ambiente e salute.
“Solo con la completa applicazione della legge anche da parte della magistratura, e il conseguente sblocco dei lavorati e semilavorati ancora sotto sequestro, l’Ilva sarà in grado di rispettare i propri impegni a cominciare dal pagamento degli stipendi”, ammonisce il colosso genovese.
Che l’azienda non abbia ancora messo mano agli impegni imposti dalla nuova Aia (autorizzazione ambientale), sembra non interessare nessuno.
Dove sono i 4 miliardi che l’Il-va deve investire per “ambientalizzare” lo stabilimento e fare in modo che le emissioni di fumi e polveri non uccidano Taranto e i tarantini?
Nessuna risposta: tutti recitano il man-tra del rispetto della legge.
Il ministro Corrado Passera lo fa con un “cinguettìo” su twitter. “Sul blocco dei prodotti finiti e semilavorati, i magistrati stanno sbagliando. Non si difende così lavoro e ambente”.
Il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, invece, si fa minaccioso. “La legge va rispettata, mi sembra che sia un modo educato ma molto fermo per ricordare gli obblighi che tutti hanno. Magistrati compresi”.
E tutti fanno finta di non sapere che il 13 febbraio la Corte costituzionale dovrà decidere sul conflitto di attribuzione aperto dai magistrati tarantini.
Se si riconsegnano gli impianti dell’area a caldo e si rende utilizzabile il materiale sequestrato consentendo la produzione, si dice in sintesi nel ricorso, si impedisce l’esercizio dell’azione penale e si interferisce con una indagine ancora in corso.
Tutti dimenticano che a giorni la gip Patrizia Todisco dovrà dire un sì o un no sul sequestro di coils e lamiere. Forse la decisione arriverà già domani.
Cosa accadrà martedì, quando si riunirà di nuovo il consiglio dei ministri per decidere su Taranto, e mercoledì quando il ministro Clini sarà in città , nessuno è in grado di prevederlo. Tutti puntano gli occhi sul palazzo di giustizia. Inutile chiedere lumi al procuratore Franco Sebastio.
“Non dico una parola”, ci risponde. E liquida con un sorriso un commento alla notizia di un suo no alla richiesta di candidatura che gli sarebbe arrivata dal Partito democratico.
Sulle rive dello Jonio si sta giocando una partita durissima.
”Se la magistratura proseguisse con questo atteggiamento non sarebbe una nostra scelta quella della chiusura ma una conseguenza dell’atteggiamento della Procura”.
Lo dice Bruno Ferrante, il presidente dell’Ilva. E’ stato un prefetto, il numero due della Polizia, sa quanto sono delicati gli equilibri tra i poteri dello Stato.
Nella grande inchiesta sull’Ilva è imputato di reati gravissimi insieme a tutto il vertice del colosso siderurgico.
I pm che “devono rispettare la legge altrimenti chiudiamo” gli contestano di non aver impedito la diffusione di “una quantità imponente di emissioni fuggitive nocive in atmosfera con grave pericolo per la salute pubblica”. Ipa, benzo(a)pirene, diossine, metalli, responsabili di “malattie e morte nei quartieri vicini allo stabilimento”, causa di “contaminazione” dei terreni e di avvelenamento da diossine di alimenti e capi di bestiame.
Succede a Taranto, dove ci sono due mari e una realtà capovolta.
Enrico Fierro
(da “il Fatto Quotidiano“)
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