INTERVISTA A GIULIANO AMATO: “IL GOVERNO NON PUO’ FARE DA SOLO”
“IL RECOVERY RICHIEDE UN RUOLO DEL PARLAMENTO”… “QUALI RIFORME? SIAMO BRAVI A DARE SUSSIDI MA PER CRESCERE SERVE ALTRO”
Professor Giuliano Amato, l’accordo sul Recovery Fund faticosamente raggiunto a Bruxelles è una pietra miliare nel destino europeo o i Paesi “solidali” cantano vittoria prematuramente?
È da quanto è nata la Comunità Europea che dopo aver raggiunto un accordo in direzione della maggiore solidarietà , ma non soltanto, bisogna aspettare la fase attuativa. Non è una novità . D’altra parte, se qualcuno non ha titolo a esprimere scetticismo sulla fase attuativa siamo noi italiani: specialisti in riforme che riempiono le pagine della Gazzetta Ufficiale e restano sulla carta.
Quindi, chi vivrà vedrà ?
Fatte queste premesse, considero il Recovery Fund un passaggio molto importante sulla strada del processo di integrazione europea. È un grosso passo adottato non a freddo bensì nel pieno di una situazione eccezionale. Del resto, durante la crisi finanziaria iniziata nel 2008, l’Europa si era già inventata una strumentazione di cui fa parte il Quantitative Easing. E per molti anni si era parlato di iniziative comuni da finanziare con il debito comune, ma questa ipotesi era sempre stata rifiutata. Pesava l’ipoteca di Paesi come l’Italia che ci vedevano un modo per coprire i propri debiti nazionali.
Cosa è cambiato, adesso?
La vicenda tragica del Covid ha generalizzato l’esigenza di una spesa con cui gli Stati membri possano affrontare un nemico comune. È stata la pandemia a giustificare la nascita di un debito comune. Vede, tante volte in passato i sostenitori dell’idea di debito comune ricordavano che gli Usa al momento della loro nascita hanno accettato la proposta di Hamilton sull’emissione di titoli del neonato Tesoro per coprire il debito degli Stati federali. A loro veniva fatta l’obiezione che il debito americano l’avevano creato tutti gli Stati insieme con la guerra di indipendenza dalla Gran Bretagna. Ebbene, questa è la prima volta che l’Europa vive l’esperienza simile di un debito che si è originato in modo comune.
L’Italia dovrebbe accettare anche i soldi del Mes?
Non entro nel dibattito politico.
Chi avrà maggior potere decisionale, in concreto, sul Recovery Fund: la Commissione o i Governi nazionali?
Leggendo le conclusioni del Consiglio Europeo è facile capire l’esito del braccio di ferro tra chi voleva il cosiddetto freno d’emergenza a totale disposizione dei singoli Stati e chi invece riconosceva ad essi il potere di attivarlo lasciando però la decisione non al potere di veto dei singoli bensì alla Commissione Europea. Ebbene, la decisione è in mano alla Commissione. Si evince dall’ultima riga che pone il meccanismo in linea con l’articolo 17 del Trattato sull’Unione Europea e con l’articolo 317 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea: sono le norme che definiscono proprio i poteri della Commissione.
Al di là degli interessi italiani, questo è un dato positivo per tutti?
Molto. Sono da sempre diffidente verso i meccanismi intergovernativi e lo spazio di crescita che hanno registrato in questi anni. Vedo finalmente un segno che si torna nella direzione opposta. Il veleno che ha maggiormente contribuito a paralizzare l’integrazione europea è proprio quello dei meccanismi intergovernativi.
A chi va il merito dell’intesa sul Recovery Fund? Alla “svolta” imposta da Angela Merkel? Alla capacità di negoziare di Giuseppe Conte? Alle istituzioni europee?
Non ero presente e non posso dare pagelle. Sono un vecchio ammiratore delle qualità di Angela Merkel, e se dovessi attribuire un merito lo darei a chi le ha consentito di rimettersi in buona salute negli ultimi mesi. Nella mia esperienza, difficilmente la buona politica riesce a svilupparsi quando manca la salute.
Mark Rutte, il premier olandese e leader dei “frugali”, emerso nel ruolo di principale avversario italiano, ha perso o ci aspetta al varco?
I Paesi che fanno valere i propri interessi nazionali sono una dinamica che è sempre esistita nell’Ue. E negli ultimi anni, a causa dell’esasperazione dei nazionalismi, fra tali interessi è entrato anche quello di colpire chi si ritiene immeritevole. Mi aspetto che se l’Italia non sapesse usare con efficacia le risorse del Recovery Fund gli olandesi saranno tra i primi ad alzare la voce. Non sarebbe sorprendente.
La lista di riforme che l’Europa ci chiede fa impressione. Basti pensare a pensioni e giustizia. L’Italia sarà capace di adempiere, dopo aver procrastinato per decenni?
Attenzione, perchè riforme è ormai una parola magica: è fuor di dubbio che l’Italia ne abbia bisogno, ma è diventata una formula di stile con cui parliamo di ciò che non sappiamo. Per esempio, il sistema pensionistico andrà messo in migliore equilibrio, ma questo non ci farà spendere i soldi del Recovery Fund: casomai ce li farà risparmiare. Per migliorare la gestione dei conti pubblici e della previdenza bisognerà affrontare il grande tema del “longevity risk” che colpisce tutti i Paesi con l’allungamento della vita. E soprattutto Italia e Giappone che hanno popolazioni più anziane.
Fatto sta che questo Governo si troverà con una mole inedita di soldi a disposizione. Carlo Cottarelli dice che bisogna sapere spendere. Ha ragione?
Altre riforme pongono la sfida di saper spendere in modo efficace e tempestivo. Molti fondi europei degli anni passati non sono ancora stati spesi. È un paradosso. Sappiamo spendere l’”helicopter money” dei benefici immediati: cassa integrazione, reddito di cittadinanza, bonus. Sono cose positive, ma strumenti dell’emergenza. Per crescere servono infrastrutture. Da vent’anni siamo gli ultimi dell’eurozona per classifiche e previsioni di crescita.
Fino a quando potremo fare finta di ignorare l’entità del nostro debito pubblico?
Anche grazie, da ultimo, alle misure anti-Covid abbiamo accumulato un debito pari al 160% del nostro Pil. Dobbiamo non solo ridurre il numeratore, ma metterci in condizione di aumentare il denominatore. Gli imprenditori hanno molte colpe, ma hanno ragione nel dire che uno dei fattori che più inceppano la crescita sono i ritardi della Pubblica Amministrazione e delle istituzioni nel far funzionare l’economia italiana.
Colpa della burocrazia? Non è un po’ autoassolutorio per tutti gli altri?
Da un lato c’è la lentezza delle procedure, dall’altro la mancanza di personale in molti uffici che impedisce di sbrigare le pratiche. Servono ora persone con qualità organizzative e capaci di padroneggiare le nuove tecnologie che sono la grande risorsa per velocizzare e semplificare. Ma certo, se tra tre o quattro anni le scuole continueranno a crollare e i ragazzi ad andare in classe con il cappotto perchè il riscaldamento è rotto, quello di adesso sarà pure un Fund ma non è Recovery…
A chi spetta gestire le risorse: a Palazzo Chigi tramite il Ciae (Comitato Interministeriale per gli Affari Europei), oppure al Parlamento, con o senza la creazione di una Bicamerale?
Basta togliere l’”oppure”. È ovvio che si tratta di una responsabilità governativa, ma essendo impregnata di indirizzi è necessario che avvenga con la collaborazione del Parlamento. Noi siamo maestri sulle formule che prevedano il coinvolgimento di commissioni preesistenti o la costituzione ad hoc. Ma questa sarebbe una seria e opportuna espressione della democrazia parlamentare.
(da “Huffingtonpost”)
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