INTERVISTA A UMBERTO CROPPI: “LE IDEE ATTORNO ALLE QUALI VOGLIAMO COSTRUIRE FUTURO E LIBERTA”
“UN PARTITO LAICO, PRIVO DI PREGIUDIZIALI IDEOLOGICHE, ATTENTO AI TEMI DELLA LEGALITA’, A QUELLI ETICI, ALLA NUOVA CITTADINANZA,AI DIRITTI CIVILI, ALL’INNOVAZIONE”… “OCCORRE DEFINIRE LE PRIORITA’ DEL PAESE E LA POLITICA DEVE SAPERLE AFFRONTARE”…”NON CONTANO SOLO PARLAMENTARI E DIRIGENTI, E’ IMPORTANTE LA BASE E LA CAPACITA’ DI PARLARE AL PAESE”
Croppi è la nuova figura di spicco dell’intellighenzia finiana.
Classe 1956, un lungo passato che va dal Msi (ma era era contro Almirante) fino alla recente defenestrazione dalla giunta Alemanno: che, data la scarsa popolarità del sindaco di Roma, probabilmente gli ha più giovato che nuociuto, politicamente parlando.
Ma a far salire le quotazioni di Croppi nel nascente partito di Fini ha contribuito anche altro: ad esempio, il graduale allontanamento dal presidente della Camera di Alessandro Campi e Sofia Ventura, che fino a poche settimane fa erano considerati gli intellettuali di riferimento del gruppo, ma ora ne sono diventati critici.
Così Croppi è diventato capo della commissione cultura: una delle sei che animano l’assemblea costituente di Fli, a Milano dall’11 al 13 febbraio.
Ma quando gli si porge la domanda, semplice e complessa, di tratteggiare l’identità culturale di Futuro e Libertà , Croppi chiede del tempo per pensarci: «La richiamo tra dieci minuti». Il tempo passa, i minuti diventano trenta.
Poi Croppi però richiama davvero: «Ci ho pensato un attimo, per cercare di riassumerla in una formula».
Precisione, dunque, non una volontà di evitare il quesito.
Dica.
«Dovrebbe essere un partito non identitario, che nasca dal superamento delle logiche delle appartenenze. Laico, anche come approccio metodologico, privo da pregiudiziali ideologiche. E che si ponga come soggetto della transizione. Che deve costruire la propria fisionomia sulla individuazione dei problemi dell’attualità e far derivare da questo eventuali scelte di coalizione. Senza adeguare la propria fisionomia a esigenze tattiche».
Un po in politichese, ma capisco che il momento è delicato. Comunque, quasi sarebbero questi ‘problemi dell’attualità ‘?
«La nuova cittadinanza, compreso il discorso sulle regole e sulla legalità . I temi etici, purtroppo ostaggio di un uso strumentale che ne viene fatto a fini di schemi artificiali. La tematica dell’innovazione, di cui ha parlato Fini a Bastia Umbra e a Mirabello”
Per temi etici intende anche bioetici?
«Sì, e i diritti civili anche. Di fronte ai quali Fini ha mosso molto le acque, uscendo dal conformismo del Pdl. E l’ha fatto con uno spirito laico: affrontiamo il problema delle coppie di fatto, ha detto, contestualizziamolo nella nostra società . Senza porci di fronte al problema con una visione pregiudiziale, ideologica».
Con Casini e Rutelli?
«L’esigenza di una nuova formazione si avverte sulla spinta di una richiesta fortissima che c’è nel Paese di far seguire le tattiche e le scelte di coalizione alla definizione dei temi. Intanto Fli deve dire come si colloca rispetto ai temi, ai problemi, e poi far seguire a questo i rapporti di coalizione. Altrimenti resterebbe come unico collante l’antiberlusconismo. E non è questo l’orizzonte in cui ci si deve muovere».
Quindi condivide le critiche di Alessandro Campi a Fini…
«Non esattamente. Lui muove queste critiche da un punto di vista diverso, cioè mettendo a fuoco il discorso delle coalizione. Invece il problema è che la posizione rispetto allo scenario politico deve derivare da una definizione delle priorità . Certo quando tra di esse ci sono la difesa della legalità e la richiesta di un atteggiamento libero verso i temi dei diritti civili, ne consegue necessariamente una posizione di contrasto con Berlusconi».
Come valuta le prese di distanza di Campi e Ventura?
«Ne faccio un discorso generale, perchè è inutile andare ad analizzare le posizioni singole. La difficoltà che sta attraversando il nascituro partito dipende dall’ampiezza delle opportunità che gli si prospettano. Ovvio che ognuno ci mette le proprie pulsioni ed emozioni. Ma debbono poi coagularsi». Sembrano abbiate dei problemi, a coagularvi.
«Questo di definizione di una fisionomia è stato un processo abbastanza breve rispetto ai tempi a cui è abituata la politica italiana, ma forse troppo lungo rispetto all’urgenza delle cose. Ed è chiaro che possono essere emerse delle disillusioni. Ma credo che siamo ancora nel pieno di una fase costitutiva, e quindi molte delle dissociazioni rientreranno. Perchè le sensibilità di queste persone sono comuni, c’è un nucleo di omogeneità sufficientemente forte. E al dil là delle posizioni di uno, due, dieci, il processo costitutivo comporta l’immissione anche di nuove energie. Se la scommessa riesce significa che da qui a qualche mese ragioneremo con decine di Campi, Croppi e Ventura»
Tipo?
«Gli intellettuali, per usare una parolaccia, coinvolti in questo processo sono moltissimi, non c’è solo Campi. Da Giuliano Compagno a Beppe Nanni, a Monica Centanni, a Lanna, Filippo Rossi e tanti altri. Campi è una voce di un coro molto vasto e complesso»
Cosa non ha funzionato dal 14 dicembre in poi?
«Se un errore è stato fatto è stato quello psicologico, non politico, di puntare tutte le fiche sul voto di sfiducia. E questo ha comportato un disorientamento. Ma i problemi del governo sono restati immutati. E le ragioni costitutive di Fli sono altrettanto immutate. Si tratta solo di superare questa fase di disorientamento, e le tre giornate del congresso sono lo strumento che dovrebbe metterci in grado di superare questa fase e aprirne una nuova».
E un errore politico?
«Un errore a cavallo di quella data è stato un eccesso di tatticismo. Ormai la fase della conta dei parlamentari si è chiusa, ed era quella che imponeva forse dei passaggi tattici. Oggi Fini deve parlare invece al Paese, libero da condizionamenti».
Come?
«I parlamentari certo hanno un ruolo importante nella nascita di un soggetto nuovo. Ma il soggetto non può essere soltanto le sue adesioni in posizioni dirigenziali, non può ridursi a un vertice preesistente che chiede il consenso agli altri. Oggi bisogna veramente rimescolare chi ha costituito l’avanguardia rispetto a tutti quelli che chiedono di partecipare a questo progetto di rinnovamento».
Fini deve dimettersi da Montecitorio?
«No, l’unico motivo che potrebbe spingerlo a farlo potrebbe essere dare più forza politica alla sua figura di leadership con un gesto clamoroso. Ma di fronte a una situazione particolare che non è ancora in atto. Da un punto di vista istituzionale in questo momento sarebbe una sorta di abdicazione, e non c’è nessun motivo per cui dovrebbe farlo. Oggi è più utile anche alla politica che resti là ».
Perchè?
«Perchè il conflitto istituzionale che si sta ventilando dimostra che un ruolo di garanzia in una posizione come quella è necessario. Perchè immaginiamo cosa comporterebbero le dimissioni di Fini: che la maggioranza si eleggerebbe un presidente della Camera confacente alle proprie esigenze. Nel momento in cui il primo ministro contesta al presidente della Camera attuale la sua autonomia, contesta il potere giudiziario, contesta addirittura il presidente della Repubblica, cioè contesta tutte le garanzie, figuriamoci cosa significherebbe avere due presidenti dei due rami del Parlamento omologhi a questa volontà del premier».
Rischia di finire come nel film ‘Il Caimano’…
«Più o meno».
Tutta “colpa” del Rubygate. Lei che ne pensa?
«Mi astengo da giudizi di tipo morale, anche se nel nostro paese, soprattutto dalla destra, della morale si è fatto un uso e un abuso negli anni scorsi. Sotto questo aspetto rilevo soltanto la contraddizione. Sul piano della credibilità delle istituzioni, invece, il complesso di queste cose comincia a diventare davvero imbarazzante. Basta spostarsi oltre i confini nazionali per rendersene conto».
Fabio Chiusi
(da “L’Espresso“)
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