INTERVISTA ALLA BIOETICISTA CAMPORESI: “IMANE KHELIF E’ UNA DONNA: PRODUCE SOLO PIU’ ORMONI, E’ COME LA SINDROME DELL’OVAIO POLICISTICO”
SILVIA CAMPORESI, UNA DELLE MASSIME ESPERTE MONDIALI DI SCIENZA ED ETICA DELLO SPORT, RISPONDE ALLE FALSITA’ SOVRANISTE
“La pugile Imane Khelif è una donna, quindi non vedo problemi alla sua partecipazione a competizioni femminili». Non ha dubbi Silvia Camporesi, bioeticista, una delle massime esperte non solo in Italia di scienza ed etica dello sport. Professoressa di Sports Ethics & Integrity all’università belga KU Leuven, è stata responsabile del Bioethics & Society Programme al King’s College di Londra. Fa parte dei quattro External Expert Advisors di Etica della Wada, l’Agenzia antidoping, ed è autrice di «Partire (s)vantaggiati. Corpi bionici e atleti geneticamente modificati nello sport» (Fandango).
Eppure anche autorevoli membri del governo la descrivono come uomo.
«Da quello che leggo, è una persona con “variazioni delle caratteristiche del sesso”, Vcs/Dsd, che possono comportare anche iperandrogenismo, cioè una produzione di ormoni superiori a una ipotetica media femminile. Capita per diversi fattori».
Per esempio?
«La sindrome dell’ovaio policistico. Colpisce fra l’8 e il 13 per cento delle donne. Sarebbero da escludere anche loro? Si stima che le persone con Vcs/Dsd invece siano fra lo 0,018 e l’1,7 per cento».
Ci potrebbero essere vantaggi.
«Ogni persona è diversa da un’altra. Qui poi si tratta di condizioni naturali e produzione endogena, non doping».
Allora perché queste polemiche?
«C’è un po’ di sessismo. I vantaggi genetici endogeni vanno bene solo per la categoria maschile, a quanto pare. Ma c’è anche altro, forse… Le donne sottoposte a questi test genetici vengono tutte dal Sud del mondo. Speriamo sia solo un caso».
Ci sono soluzioni?
«La scienza può aiutare, ma non ne offre. La questione è etica. Lo sport, come la società, deve cercare l’inclusione, non l’esclusione».
(da agenzie)
Leave a Reply