IO, FABRIZIA E GLI ALTRI: ITALIANI ALL’ESTERO CHE MERITANO RISPETTO
ATTENTATO DI BERLINO E DINTORNI
“Bisogna correggere un’opinione secondo cui quelli che se ne vanno sono sempre i migliori” affermava ieri a Fano il ministro del Lavoro Giuliano Poletti.
Ha ragione, non tutti i giovani che emigrano qui a Berlino lo sono, ma il discorso vale ovunque, a Londra, Parigi, Melbourne o New York. Fabrizia però lo è.
Non voglio appropriarmi di un ricordo. Scrivo perchè la sua storia, tranne il tragico epilogo, è analoga a quella di migliaia di suoi coetanei connazionali. Che non meritano un rispetto diverso da quelli rimasti in Italia, ma i cui sacrifici non è giusto che siano minimizzati.
Non eravamo amici, ci conoscevamo soprattutto perchè nel 2014, quando fondai Berlino Magazine, lei ebbe l’entusiasmo di contribuire con qualche articolo a quei primi mesi di vita del sito.
Tutto in maniera volontaria, solo perchè il giornalismo è una delle sue passioni, ma non poteva permettersi di dedicarcisi nell’immediato e così, all’epoca, lavorava all’assistenza clienti di una società di car-sharing con la speranza prima o poi di mettere a frutto quegli studi in Relazioni internazionali e diplomatiche all’Università di Bologna, seguiti da un master in Comunicazione d’impresa completamente in tedesco presso l’Università del Sacro Cuore.
Sembrerà banale dirlo, il solito commento che accontenta tutti, ma faceva tutto con il sorriso, sempre. Senza frustrazioni, di alcun tipo. “Una delle persone più belle che abbia mai incontrato”, mi ha detto qualche ore fa un suo grande amico qui a Berlino, anche lui berlinese d’adozione a cui spero di non fare torto riportando la sua commozione.
Secondo l’annuale rapporto Migrantes, sono stati 107mila gli italiani a trasferirsi all’estero nel 2015, di cui un terzo tra i 18 e i 34 anni.
La Germania è stata la meta preferita, 16.568 persone. E questi sono solo i dati ufficiali, quelli di chi si è iscritto all’AIRE (Anagrafe della popolazione Italiana Residente all’Estero).
Molti delle persone emigrate in Germania lo fanno però senza comunicarlo all’Ambasciata per evitare di perdere l’assicurazione sanitaria italiana.
In Germania la cassa malattia si paga infatti mese per mese e, soprattutto per i freelancer, è un vero salasso. Con la tessera sanitaria italiana in qualche modo si è sostanzialmente coperti. Misteri di un’Unione Europea che non ha ancora parificato situazioni di vita quotidiana così fondamentali per chi si trasferisce in un altro Stato membro.
E così i dati ufficiali non sono quelli reali. I circa 25mila a Berlino secondo l’Aire dovrebbero essere almeno raddoppiati.
Gli italiani a Berlino sono ormai di ogni età , professione, status familiare e ambizione.
Ci sono i giovani neolaureati come Fabrizia, quelli che lavorano nella gastronomia in attesa di migliorare il tedesco e quelli che già lavorano in startup o all’assistenza clienti di grandi aziende che hanno delocalizzato a Berlino il proprio business online.
Ci sono i liberi professionisti (architetti, grafici, produttori musicali), gli idraulici, i parquettisti, gli immobiliaristi, gli insegnanti di italiano, e tanto altro ancora.
Ci sono tante storie, davvero. Anche italiani che, grazie ai propri studi e a un’ottima padronanza del tedesco, lavorano presso l’ufficio degli Interni tedesco e ora sono subissati di chiamate di parenti e giornalisti che vorrebbero saperne di più.
Molti di loro sono ancora entusiasti di Berlino anche se sono passati anni da quando sono arrivati. Ci sono altri che, se non sono tornati o trasferitisi altrove,pensano spesso di farlo. Saranno clichè, ma lo scorrere del tempo, il cielo grigio, le verdure senza sapore del supermercato e l’assenza di calore umano sul posto di lavoro spingono tante persone a rivalutare l’Italia. E a pensare di ritornarvi. A volte non lo fanno, trovano il proprio equilibrio a Berlino, crescono famiglie, si affermano professionalmente come in Italia non pensano che sarebbero mai riusciti. Giù ci tornano ormai solo per le vacanze.
A volte invece sì, rimpacchettano tutto e salgono sull’areo di ritorno, ben consci che c’è chi proverà a definire un fallimento il loro tentativo.
Altri ancora tornano in Italia e poi, dopo qualche anno, si trasferiscono nuovamente a Berlino con buona pace di chi vuole teorizzare sulle loro decisioni. “Sono migliori? Non sono migliori?”. Di certo sono persone che sanno mettersi in gioco.
Più che italiani, cittadini di un mondo globale che, tra i tanti dubbi e le poche certezze, sperava Berlino rimanesse isola felice, emblema di una multiculturalità e politica dell’accoglienza lontana dagli echi di guerre e recriminazioni qui già vissute abbondantemente nel ventesimo secolo.
(da “Huffingtonpost”)
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