“IO, MEDICO ITALIANO IN PRIMA LINEA CONTRO L’INCUBO EBOLA”: IL TEAM DELL’OMS A LAGOS
“AI MALATI LEGGO SHAKESPEARE PER CONFORTARLI”… IN ITALIA DELINQUENTI CHE SEMINANO ODIO, SUL CAMPO MEDICI ORGOGLIO DEL NOSTRO PAESE
Abbiamo chiesto a Maurizio Barbeschi, Team Leader del gruppo Risk Assessment and Decision Support dell’Oms, di raccontare da Lagos la sfida contro l’Ebola
“Ieri mi sono ritrovato al capezzale di un malato di Ebola, a leggergli Shakespeare. Eravamo andati nell’ospedale di Lagos dove sono ricoverati i contagiati, per valutare la situazione. Ne abbiamo visitati quattro.
Non è mai facile incontrare persone che stanno morendo, e per sollevare un poco il morale ho chiesto a uno di loro se gli piacevano i libri.
Mi ha risposto di sì, e allora sono andato fuori a cercarne uno.
Ho trovato un collega che aveva con sè una copia di Enrico IV, e me la sono fatta prestare. Il malato era contento di vedere che avevo un dono per lui, e ho cominciato a leggerglielo, seduto davanti al suo letto. Se vengono presi in tempo, non tutti i casi di Ebola sono mortali.
Quando cominciano a manifestare i sintomi, soprattutto la diarrea, la chiave è tenerli idratati.
Questo è il primo passo per cercare di allungare la loro vita, e magari salvarli, come stiamo facendo in Nigeria, dove per ora abbiamo perso solo due persone.
È importante sapere che l’Ebola non è una condanna a morte automatica: con una buona e rapida assistenza, le possibilità di sopravvivenza aumentano in maniera netta.
Poi c’è il morale, naturalmente, che è importante in ogni malattia.
Perciò magari nei prossimi giorni tornerò in corsia con Shakespeare, sperando di ritrovare il malato appassionato di libri.
Finita la visita in ospedale ci hanno chiamato dalla centrale, per andare a ispezionare l’aeroporto.
È la chiave della prevenzione. Bisogna individuare subito i potenziali casi, per isolarli e dare assistenza.
Perciò è importante sapere chi apre le porte degli aerei quando atterrano, chi e come accoglie i passeggeri.
Il momento in cui consegnano il passaporto, o incontrano un assistente di volo, è l’occasione migliore per guardarli in faccia e capire se sono malati.
Questi controlli stanno funzionando.
Dopo una giornata così, siamo tornati in albergo verso mezzanotte, distrutti.
Anche per noi è difficile.
La cosa più curiosa sono i tic che sviluppiamo, pensando di proteggerci: c’è il collega che uscito dalla corsia dei malati si sfrega in continuazione le mani, quello che si osserva i piedi, quello che si lava freneticamente la faccia, quello che usa una tecnica sempre uguale per togliersi gli indumenti di protezione.
Sono prassi scaramantiche, con cui speriamo di difenderci.
Perchè domani, all’alba, si ricomincia.
Maurizio Barbeschi
(da “La Stampa“)
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