IO NON STO CON STACCHIO, IL VENETO NON E’ IL FAR WEST
NON VOGLIO DIFENDERMI DA SOLA, VOGLIO ESSERE DIFESA DA CHI HA IL DOVERE DI FARLO, NON VOGLIO CHE CHI UCCIDE UN UOMO DIVENTI UN EROE NAZIONALE, NON VOGLIO UN FAR WEST DOVE IMPROBABILI SCERIFFI DECIDANO SULLA VITA DEGLI ALTRI
Chi uccide un altro essere umano non è mai un eroe. In nessun caso, a maggior ragione se lo ha fatto per sbaglio e di quello sbaglio risponderà alla legge e alla sua coscienza.
Chi spara sa quello che fa, sa che le conseguenze della sua azione potrebbero rivelarsi ben più gravi di quanto ipotizzi premendo un grilletto.
Chi rompe paga, e i cocci, purtroppo, sono suoi.
Non può essere legittimato, almeno nel mio paese, un uomo che si difende sparando.
Anche se ha un fucile legalmente detenuto, anche se è lui per primo vittima degli spari di un gruppo di rapinatori cialtroneschi. Se lo fosse non sarebbe l’Italia: sarebbe il Far West.
E nel Far West quella che vigeva era la legge del più forte, di quello che aveva la mira migliore, quello più veloce a estrarre la pistola dalla fondina.
Chiunque oggi innalzi quel benzinaio a eroico giustiziere, in una discutibile logica del chi fa da sè fa per tre, non capisce che Dottor Jeckyl e Mr Hide erano le due facce della stessa medaglia, erano la traduzione letteraria di un bipolarismo che in un paese civile non può essere ammesso. Per nessuna ragione. Il rischio che si corre, legittimando politicamente quello che è accaduto in Veneto, è autorizzare (più o meno consapevolmente) ogni cittadino a impallinare chiunque violi la sua proprietà .
Ci sono poliziotti e carabinieri e giudici e legislatori chiamati a tutelare i diritti di ognuno, non servono revolver e furore.
E non vale l’attenuante dell’esasperazione che arma la mano delle persone perbene: pacifici cittadini che in un giorno di ordinaria follia si fanno giustizia da sè.
Non vale nemmeno la scusa di uno Stato distratto, della burocratica lentezza (dovuta ad una garantista presunzione d’innocenza) dei tribunali e della scaltra intelligenza di bravi avvocati.
Perchè poi, a voler essere onesti, coloro che oggi hanno fatto di questo assassino per errore l’eroe dell’operoso Triveneto, sono gli stessi che invocano il rispetto delle leggi da parte di tutti, in primo luogo di tutti gli altri.
Come se a loro spettasse il compito di stabilire quando è giusto e quando non lo è rispettare quella serie di norme alle quali siamo tutti sottoposti.
Come se esistesse una sospensiva del Codice Penale se a imbracciare un fucile e uccidere un essere umano è qualcuno che loro reputano legittimato a farlo.
Nei messaggio di solidarietà a un uomo che ne ammazza un altro si nasconde, e neanche tanto bene, un incitamento alla violenza inaccettabile da un privato cittadino, inammissibile da un personaggio politico.
È una questione di responsabilità e se chi mi amministra, o ambisce a farlo, non ne è dotato che si dedichi ad altro.
Non a gettare il mio paese e la mia vita nella confusione di un’anarchica giustizia secondo la quale io ho il diritto di difendermi da sola.
Io non voglio difendermi da sola: io voglio essere difesa dalle persone che hanno il dovere di farlo.
Io non voglio che in Italia chi uccide un uomo, anche per errore, diventi un eroe nazionale.
Io non voglio che i rapinatori finiscano ammazzati per strada, circondati da un’aureola di sangue. Io voglio che vengano arrestati, processati e condannati a una pena insindacabile.
Io non voglio che la rabbia trasformi l’Italia in un Far West dove una serie di improbabili sceriffi piantano i loro sudici stivali sul diritto alla vita di ognuno di noi.
Deborah Dirani
(da “Huffingtonpost“)
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