“IO SO’ GIORGIA” NON SI SENTE A SUO AGIO A PALAZZO CHIGI, EDIFICIO CHE NOTORIAMENTE HA MOLTE ORECCHIE: IN VISTA UNA “BONIFICA”
ALLA CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELLA FINANZIARIA NON ERA PRESENTE ALCUN RAPPRESENTANTE DI FORZA ITALIA (TAJANI ERA NEI BALCANI PER NON METTERE LA FACCIA SULLA LEGGE DI BILANCIO). E MULÈ AZZANNA: “È UNA TISANA”
La conferenza stampa di Giorgia Meloni sulla legge finanziaria ha fatto rumore soprattutto per le proteste dei puntuti e inesorabili giornalisti, che di colpo si sono scoperti cani da guardia del potere, a causa del poco tempo a disposizione per le domande.
Nessuno degli acutissimi cronisti ha però notato che alla conferenza stampa fosse presente, con ampio spazio di intervento, il viceministro dell’economia Maurizio Leo.
Scelta inusuale – anzi, mai vista – per un’occasione come questa, dove di solito è il solo ministro dell’Economia, in tandem con il presidente del Consiglio, a illustrare nel dettaglio la manovra.
Nessuna delle argutissime penne ha avuto il guizzo di chiedere: “La presenza del viceministro Leo, responsabile economico di Fratelli d’Italia, è forse un segno che il ministro Giorgetti è commissariato?”.
Il day after della presentazione della legge di bilancio fa registrare un profondo malcontento in zona Forza Italia. Leggere per credere le dichiarazioni del ronzulliano Giorgio Mulé, che in un’intervista a “Repubblica” ha paragonato la manovra a una “tisana”, parlandone come se il suo partito fosse estraneo alla maggioranza di governo. Magari la distanza emotiva si deve anche all’assenza davanti ai cronisti di un esponente di Forza Italia.
Il vicepremier Tajani, che guida la metà dei forzuti che non si riconoscono nel tandem Ronzulli-Fascina, avrebbe dovuto partecipare, ma era in missione nei Balcani. Questa almeno la versione ufficiale, visto che Giorgia Meloni gli aveva chiesto di rimanere a Roma e spedire in Serbia soltanto il ministro della difesa Crosetto. Tajani, invece, ha preferito partire, forse perché non voleva mettere la sua faccia sulla finanziaria che fa tanto storcere il naso all’altra metà del suo partito.
I più onesti osservatori fanno notare che questa manovra non avrebbe ricevuto mezza critica, se fosse stata licenziata dal governo Draghi. Non prevede misure spericolate, non ci sono fughe in avanti che possano essere giudicate irresponsabili anche dall’Europa, tanto che anche i mercati l’hanno accolta con favore.
Semmai quella commessa da Giorgia Meloni è un’ingenuità politica. Se avesse proposto pari pari la finanziaria scritta da Draghi e Franco, avrebbe tagliato le unghie a tutti i suoi critici – giornaloni in testa – che non aspettavano altro per “graffiarla”.
Avrebbe potuto farlo, rivendicando l’esiguo tempo a disposizione per preparare una legge così complessa. Del resto, si è insediata da un mese, e nel frattempo ci sono state le missioni in Egitto per la Cop27 e quella a Bali per il G20.
A maggior ragione perché le modifiche proposte dal suo governo, soprattutto quelle attinenti al reddito di cittadinanza, non comporteranno per lo Stato risparmi rilevanti (il Mef ha stimato 734 milioni di minor spesa per il 2023), mentre invece Draghi immaginava una revisione ancora più radicale del sussidio grillino.
Certo, Draghi non aveva previsto il nuovo tetto al contante, né la riformina delle pensioni varata come contentino per Salvini. Si tratta di ritocchini non strutturali, che non comportano consistenti risparmi o maggiori entrate per lo Stato.
La Meloni sta mostrando alla stampa e agli elettori una scorza dura, da leader tenace e caparbia, ma sotto sotto inizia a uscir fuori la sua fragilità, ad avvertire la pressione per il ruolo.
Il suo perfezionismo e l’ansia da prestazione la portano a voler monitorare ogni singolo provvedimento: un’ossessione del controllo accentuata dalla scarsa fiducia riposta in chi la circonda. Nessuno, tra i suoi, possiede la sua maniacalità.
E così lei finisce per accentrare il lavoro, addossandosi un sovraccarico di stress e tensione, che ogni tanto esplode, come si è visto ieri nel battibecco in romanesco con i giornalisti.
Donna Giorgia non si sente propriamente a suo agio all’interno delle mura di Palazzo Chigi, edificio che notoriamente ha molte orecchie. Non a caso, l’incontro con Elisabetta Belloni, capo del Dis, è avvenuto negli uffici di Fratelli d’Italia, al sesto piano di Montecitorio. Ufficialmente, il trasloco dall’immenso Palazzo Chigi è stato motivato per una ”ristrutturazione”. Ma i più smaliziati la chiamerebbero “bonifica”…
(da Dagospia)
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