LA COMMISSIONE UE SMENTISCE SALVINI: “LA SEA WATCH NON DEVE RIPORTARE I NAUFRAGHI IN LIBIA, NON E’ UN PORTO SICURO”
ALTRO SCHIAFFO ALLE BALLE DEL SEQUESTRATORE DI PERSONE CHE SCAPPA DAI PROCESSI E VIOLA LE LEGGI
Dopo che la nave Sea Watch 3 si è opposta alla richiesta di riportare indietro e quindi respingere in Libia i 52 naufraghi salvati in mare, la Commissione Europea ha ribadito che la Libia non ha porti sicuri, di fatto smentendo la richiesta del ministro dell’Interno.
“Tutte le navi con bandiera europea devono seguire le regole internazionali e sulla ricerca e salvataggio in mare, che significa che devono portare le persone in un porto che sia sicuro. La Commissione ha sempre detto che queste condizioni non ci sono attualmente in Libia” ha spiegato la portavoce della Commissione Ue Natasha Bertaud.
Il ministro dell’Interno Matteo Salvini – a colpi di Tweet – aveva affermato giovedì di aver chiesto alla nave Sea Watch 3, che mercoledì aveva soccorso 52 migranti in mare, di riportare tutte le persone a bordo della loro nave in Libia.
«Se la nave illegale Ong disubbidirà , mettendo a rischio la vita degli immigrati, ne risponderà pienamente», aveva scritto Salvini su Twitter.
Ma l’attività della Sea Watch 3 non è “illegale” come dichiarato dal ministro: lo scorso primo giugno la nave stessa è stata dissequestrata dalla Procura di Agrigento e dunque ha potuto riprendere il mare. Inoltre i migranti a bordo della nave, secondo quanto riportato dal personale medico della Sea Watch, non sarebbero in pericolo di vita come affermato da Salvini.
E nel momento che lo fossero a essere incriminate saranno le autorità italiane che stanno violando la legge.
Nel primo pomeriggio la ong Sea Watch, che controlla la nave Sea Watch 3, ha mostrato prova di una mail, intercorsa con la cosiddetta Guardia costiera di Tripoli.
Nella mail si legge l’offerta di Tripoli per un porto libico di approdo che continua a non essere e non avere le caratteristiche di un pos, place of safety come richiesto dalla Convenzione di Amburgo che regola i soccorsi in mare.
Per questa ragione, nel comunicato, la Sea Watch ha fatto sapere che non intende: «riportare coattivamente le persone soccorse in un Paese in guerra, farle imprigionare e torturare» poichè si tratterebbe di «un crimine».
«Tripoli non è un porto sicuro» come documentato da numerose inchieste giornalistiche di Avvenire e di altre testate internazionali sugli abusi, le torture e le violenze commesse nei centri di detenzione libici dove vengono riportati i naufraghi, gli stessi da cui scappano.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato alla fine del 2018 e già acquisito dagli investigatori della Corte penale internazionale dell’Aja, le persone presenti nei centri di detenzione libici — a tutti gli effetti delle carceri di stato in cui vengono rinchiusi i migranti privi di documenti — sono ancora oggi sottoposti a “orrori inimmaginabili”.
Va ricordato che l’Italia era già stata condannato nel 2012 dalla Corte europea per i diritti umani per un caso di respingimento avvenuto nel 2009 quando a sud di Lampedusa, delle navi militari italiane intercettarono delle imbarcazioni con a bordo circa 200 migranti di origine eritrea e somala, tra cui bambini e donne in gravidanza, e, senza ricorrere ad alcuna procedura di riconoscimento, le reindirizzarono verso il porto di Tripoli, consegnandole alle autorità libiche.
L’avvenimento è la prova che la Libia non ha porti sicuri poichè è un Paese che non possiede una normativa in materia di diritto d’asilo, non ha mai ratificato la Convenzione di Ginevra e le cui condizioni carcerarie sono pessime e rischiose da più punti di vista per i detenuti.
Nelle prossime ore resterà da vedere dove potranno approdare i 52 naufraghi soccorsi.
(da “Avvenire”)
Leave a Reply