LA GUERRA FINTA DI ALFANO SULL’INUTILE DECRETO LAVORO DELLA CONFINDUSTRIA
GLI ALFANIANI MINACCIANO DI NON VOTARE IL TESTO, POI IL GOVERNO METTE LA FIDUCIA E CI RIPENSANO: “BATTAGLIA IN SENATO”
È difficile spiegare cosa è accaduto ieri alla Camera sul decreto lavoro: è sempre difficile, lo diceva decenni fa Enzo Forcella proprio parlando della cronaca parlamentare, raccontare una guerra finta come se fosse vera.
Per questo conviene partire dai dati di fatto: il governo ha chiesto la fiducia sul provvedimento, il voto di oggi sarà senza sorprese visto che tutti i partiti della maggioranza hanno annunciato il loro sì, la questione ricomincerà durante il passaggio in Senato.
Altre certezze sul tema: questo decreto — nonostante i ministri dell’Economia e del Lavoro Padoan e Poletti — lo giudichino nientemeno che “fondamentale”, non cambierà quasi nulla e non ha alcuna speranza di innescare l’ircocervo della crescita.
Si tratta, infatti, di poche — e in genere pessime — norme sui contratti a termine e l’apprendistato, non certo del “mitico ” Jobs act, che è una legge delega che verrà approvata, forse, entro dicembre.
Su questa minuzia s’è innescata la guerra finta di cui sopra: uno scontro di posizione in cui gli attori ondeggiano tra il desiderio di ottenere visibilità in tempo di elezioni e la mancata comprensione della pochezza del casus belli.
Nuovo Centrodestra e quel che resta di Scelta Civica e Udc, nel weekend pasquale, hanno abbandonato gli esercizi spirituali per mettere a verbale: “Noi questo testo non lo votiamo”. Poco importa che quel testo nascesse per mettere una pezza — al solito peggio del buco — alle norme più sconclusionate della precedente legge Fornero, allegramente votata da tutti gli interessati.
Per alfaniani e soci, nel merito, è inaccettabile che si preveda — per le aziende sopra i 30 addetti — la prescrizione di assumere il 20% degli apprendisti, dopo 36 mesi di contratto, prima di assumerne di nuovi: in sostanza un’impresa con 50 dipendenti, dopo aver formato per tre anni 7 apprendisti, dovrebbe alla fine assumerne uno per poter dedicarsi alla formazione di un’altra decina di giovani che non intende assumere.
Male, per Ncd e gli altri, pure che si preveda che durante l’apprendistato si faccia formazione col controllo della regione.
O che non si possa avere in azienda solo contratti a termine o che se un imprenditore non rispetta il limite dei 36 mesi per il lavoro temporaneo poi un giudice può costringerlo ad assumere il precario.
Roba inaccettabile, che stritola la libertà d’impresa, dicono montiani e Ncd (e pure Forza Italia).
La faccenda, ieri mattina, rischiava di complicarsi: in commissione Bilancio, per il parere, la maggioranza rischiava di andare sotto per l’assenza dei ribelli e pure di un bel pezzo del Pd. Solo l’interruzione della seduta decisa dal presidente Francesco Boccia e l’arrivo in massa di 11 sostituti (tutti renzianissimi, dal tesoriere Bonifazi al trio Carbone-Guerini-Ermini) ha fatto sì che arrivasse l’ok, anche se per soli due voti.
Nel frattempo si teneva, sempre alla Camera, un vertice di maggioranza assai tormentato.
Il ministro Poletti, dopo attenta riflessione, proponeva la sua mediazione ai presenti: nessuna modifica al Senato (anche perchè il decreto scade il 20 maggio e in mezzo ci sono pure un po’ di ferie); niente assunzione per i contratti a termine che eccedono i 36 mesi, ma un più modesto indennizzo in denaro; la formazione dell’apprendista a scelta dell’azienda potrà essere regionale o… aziendale.
Cesare Damiano, alfiere della cosiddetta sinistra Pd e presidente della commissione Lavoro, aveva già festeggiato come una grande conquista il fatto che i contratti temporanei potranno essere rinnovati al massimo cinque volte, anzichè otto.
Ieri, visto il casino, ha provato il colpaccio bolscevico: noi votiamo le proposte di Poletti, ma i rinnovi devono scendere a quattro.
“Giammai”, è stata la risposta del Ncd, Maurizio Sacconi, omologo di Damiano in Senato, su tutti.
Risultato: niente mediazione e governo costretto a mettere la fiducia sul testo uscito dalla commissione.
Ncd e gli altri si piegano: “Votiamo la fiducia, ma in Senato sarà battaglia”.
Riassunto serale di Matteo Renzi: “Queste polemiche sono tipiche della campagna elettorale, ma con tutto il rispetto noi vogliamo governare. Sui dettagli discutiamo ma alla fine si chiuda l’accordo perchè non è accettabile non affrontare il dramma della disoccupazione”.
Peccato che questo decreto non serva allo scopo.
Marco Palombi
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