LA SCENEGGIATA DELLA CONFERENZA DI PALERMO: AI LIBICI VA BENE COSI’
IL CAOS ATTUALE PERMETTE A TUTTE LE PARTI DI CONTINUARE I LORO AFFARI SULLA PELLE DEI POVERACCI
Alla fine, ti viene il sospetto, o forse capisci, che a loro va bene così: trascinare avanti la pantomima d’una trattativa e d’una sequela di litigi, che d’improvviso divengono scaramucce di guerra imbrattate da schizzi di sangue, senza mai arrivare a un’intesa e senza mai tornare alla guerra civile.
Perchè, così, ciascuno conserva la sua fetta di potere: il generale Haftar dai tanti passati e il premier al Sarraj senza popolo e senza territorio e i signori delle milizie lungo la costa e dentro il deserto, ben pagati per tenere i barconi in secco e per proteggere i pozzi di petrolio degli uni — gli italiani — e degli altri — i francesi.
Se invece la macchina della pace e della stabilizzazione, messa in moto dall’Onu e dalla comunità internazionale, dovesse funzionare, loro rischiano, il giorno che si votasse, di perdere influenza, potere e soldi.
E allora meglio continuare a resistere al cambiamento senza troppo darne l’impressione, accettando, magari, di fare tre passi avanti per poi farne subito due indietro, come a Palermo.
Chè, più o meno, dopo la Conferenza di Palermo voluta e organizzata dall’Italia e avallata da Onu e Ue, da Usa e Russia, da vicini di casa della Libia come l’Egitto e da Paesi che ci ficcano il naso come la Francia, ci si ritrova al punto di partenza, ma avendo guadagnato qualche mese, verso la riconciliazione e poi le elezioni.
Intitolato “per la Libia e con la Libia”, l’appuntamento di Palermo s’è svolto tra enormi difficoltà , lunedì e martedì.
Fino a un’ora prima dell’inizio, non c’era una lista dei partecipanti. Il problema non erano i 30 Paesi presenti — 10 a livello di capi di Stato e di governo e una ventina di ministri o vice-ministri — e le organizzazioni internazionali, quanto le delegazioni libiche: difficile mettere insieme i leader delle fazioni che da anni s’affrontano nel Paese, spesso in armi.
Ma screzi, dispetti, incidenti di percorso non mancano. Così, nella sessione plenaria, c’è uno scontro teatrale tra le delegazioni libiche: quelle di al Sarraj e del presidente dell’Alto Consiglio di Stato libico, Khaled al Meshri, escono dalla sala quando deve parlare il portavoce di Haftar. A loro dire, il consigliere politico del generale, Fadel al-Dib, non era “un rappresentante sufficientemente qualificato”. E Ali Saidi, deputato della Camera di Tobruk, numero due della sua delegazione, molto vicino ad Haftar, se n’era andato prima, non volendo “essere falso testimone” del suo Paese, dopo avere scoperto — spiega — “i veri fini della Conferenza”, “una sceneggiata”.
Scaramucce cui i libici sono abituati e ci hanno assuefatti
Deluse le organizzazioni umanitarie, soprattutto perchè il tema migranti è stato sostanzialmente ignorato.
L’Oxfam denuncia: “Ancora una volta, a Palermo, si è girato la testa dall’altra parte, senza assumere nessun impegno concreto per il rispetto dei diritti umani di migliaia di migranti, uomini, donne e bambini ogni giorno vittime delle più orrende torture e di abusi nei centri di detenzione libici”.
La pace, la stabilità , la democrazia, e i migranti, possono attendere.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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