LA SINDROME DELL’ASSEDIO
LA PERENNE “CHIAMATA ALLE ARMI” DEI COMPLESSATI
Le parole di Arianna Meloni al congresso di FdI a Firenze confermano il legame della destra con la retorica dell’assedio che ha sentito così a lungo sua da non poterla abbandonare nemmeno ora che i numeri, le condizioni interne e internazionali, i rapporti di forza, rendono il partito pressoché invulnerabile.
Sì, è al governo di tutto e senza concorrenti, ma è anche tra le dune di Giarabub, la canzone del Ventennio amata pure da Francesco Guccini. «Qui nessuno ritorna indietro, non si cede nemmeno un metro». Non è facile psicologismo, è realtà.
Dice la sorella della premier e titolare della segreteria politica del partito: «Siamo molto attaccati, pensano di farci saltare il sistema nervoso, tirano fuori parenti, antenati, ma non ci riusciranno, perché non abbiamo scheletri nell’armadio e perché lo facciamo solo perché ci crediamo». Parla al cuore dei suoi e viene assai applaudita perché tocca una corda ancestrale per tre generazioni di destre: la persecuzione, il ghetto, le inchieste, comprese quelle che dovevano portare allo scioglimento del vecchio Msi, e ovviamente l’assedio fisico, le pistole, le trame nere.
È un tipo di retorica che funziona anche con i nuovi elettorati strappati a Forza Italia e alla Lega. Gli ex aficionados di Silvio Berlusconi ci ritrovano l’eco dei 32 processi che inseguirono il Cavaliere fin dagli anni ’80 – fisco, tangenti, mafia, festini – e del suo corpo a corpo con la magistratura, i potentati europei, i grandi gruppi editoriali della carta stampata. Gli ex della Lega nascono dal mito della disperata resistenza dei Comuni intorno al Carroccio, e pure loro hanno avuto le loro dosi di amarezze negli ultimi vent’anni, dai diamanti nigeriani al Russiagate. Quando Giorgia Meloni in conferenza stampa parla di «qualcuno che pensa di spaventarci», quando Arianna Meloni evoca operazioni per far perdere la testa all’esecutivo, si rivolgono entrambe a una platea che ama raffigurarsi come circondata e in guerra contro poteri soverchianti. Invitano quel parterre a reagire, e dunque a mobilitarsi per votare e far votare: è campagna elettorale, non molto di più.
La logica e le cronache dicono che i «molti attacchi» contro l’attuale governo sono in realtà episodi sporadici, più che altro legati agli scivoloni di suoi esponenti e a qualche ovvio clamore giornalistico sui medesimi. Quello che fa fermare il treno, quell’altro che porta una pistola al veglione, quelli che si scambiano dossier coperti da segreto e usano i virgolettati per accusare di contiguità mafiose gli avversari, l’infinita serie di disegni di legge su quisquilie, l’obbligo del presepe, il divieto di usare anglicismi.
Dov’è la grandiosità degli scandali che possono trafiggere personalità e governi? La Lockheed, il mandato di cattura a Bettino Craxi, l’avviso di garanzia a Berlusconi nel giorno del G8, un caso Moro o più banalmente un caso Mondadori, un Imi-Sir, una parentopoli all’Ama, una mafia Capitale… Nulla di tutto ciò risulta, tutt’al più modeste vicende di affarismo sospetto: i conti disordinati del ministro Daniela Santanché, il quadro del sottosegretario Vittorio Sgarbi forse proveniente da un furto, insomma robetta.
Poi, certo, c’è il capitolo parenti. L’indignazione per le storie degli «antenati» sbattute in tv con opinabili testimoni che le colorano di mafia, è comprensibile. Il papà della premier e quello del presidente del Senato Ignazio La Russa non sono personaggi pubblici, sono deceduti da un pezzo, e la richiesta di non utilizzarli per delegittimare le carriere dei figli è più che normale.
E tuttavia nello stesso congresso in cui Arianna Meloni ha sanzionato l’uso politico dei parenti, altri interventi hanno additato al pubblico disonore il cugino defunto dell’aspirante sindaca del Pd a Firenze, Paola Funaro. Si chiamava Lorenzo Bargellini detto Mao, storico leader dei movimenti di lotta per la casa e delle okkupazioni da sempre nel mirino della destra. È morto nel 2017 e bisognerebbe lasciare in pace pure lui anziché usarlo per screditare l’album di famiglia della candidata, fondato sul nonno Piero, che fu sindaco (democristiano) all’epoca della grande alluvione di Firenze.
Ma per superare Giarabub, per disarmare le opposte propagande sui congiunti di primo e secondo grado e riportare il sistema nervoso di tutti al normale stress collegato a ruoli di responsabilità, ci sarà tempo dopo le elezioni. Per il momento quel tipo di «chiama» funziona, è il campanello a cui gli elettorati rispondono in modo quasi pavloviano. Perché privarsene?
(da La Stampa)
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