LA STORIA DI MERCATONE UNO SPIEGA IL FALLIMENTO DELLA POLITICA ITALIANA
PAZIENZA ASSEGNARE L’AZIENDA ALL’UNICO CHE PRESENTA UN’OFFERTA, MA POI OCCORRE VIGILARE SUL RISPETTO DEGLI IMPEGNI, NON CHIUDERE GLI OCCHI
Siccome in ogni tragedia si nasconde una commedia, ieri il dramma dei lavoratori di Mercatone Uno è stato sfruttato dalla politica per fare campagna elettorale. E allora proviamo a raccontare la storia del fallimento di Mercatone Uno, per delineare i contorni di una brutta storia in cui, come dicevano i Sex Pistols, nessuno è innocente.
Mercatone Uno è passata nel maggio 2018 alla Shernon Holding per volere dei tre commissari (Stefano Coen, Ermanno Sgaravato e Vincenzo Tassinari) nominati dal ministero dello Sviluppo nel 2015 (all’epoca era guidato da Federica Guidi, la decisione venne presa da Carlo Calenda), dopo tre bandi di vendita andati deserti e la cassa integrazione per 3mila dipendenti, eredità della gestione dei precedenti proprietari, Cenni e Valentini, sotto processo a Bologna per aver distratto, secondo l’accusa, fondi della società per dirottarli in due veicoli sociali in Lussemburgo.
La società attualmente perde 5-6 milioni di euro al mese e, ricorda il Corriere, ha “omesso il pagamento degli oneri previdenziali per oltre 8,7 milioni, non ha rimborsato i creditori per 60 milioni e non ha onorato neanche le pendenze con l’amministrazione straordinaria dopo aver corrisposto solo 10 dei 25 milioni pattuiti, frutto della vendita del magazzino. Si fa strada l’ipotesi di bancarotta fraudolenta per gli amministratori”.
Carlo Festa sul Sole 24 Ore spiega oggi che la dichiarazione di fallimento è stata presa dal Tribunale di Milano per venire incontro alle richieste dei fornitori e per preservare l’azienda da un dissesto maggiore: in meno di otto mesi sotto la nuova gestione l’azienda ha infatti accumulato 90 milioni di buco e il rischio era che l’emorragia finanziaria continuasse senza poter essere più controllabile.
Il 23 maggio i fornitori hanno chiesto il fallimento e suggerito una strada per il salvataggio simile a quella di Parmacotto, mentre la procura della Repubblica ha evidenziato che Shernon Holding (inizialmente controllata da una holding maltese) fin dall’inizio era sembrato soggetto con scarse risorse finanziarie:
Ma c’è un filone, uscito nell’udienza, che necessiterà di un approfondimento nelle opportune sedi: l’amministrazione straordinaria ha infatti ceduto l’azienda alla Shernon Holding, società controllata a quel tempo da una finanziaria maltese al 100 per cento. L’amministratore delegato della Shernon, Valdero Rigoni, — è stato ricordato in udienza — era tuttavia già stato amministratore di una società dichiarata fallita da parte del Tribunale di Vicenza nel 2014.
Inoltre secondo la ricostruzione della Procura della Repubblica, l’amministrazione straordinaria avrebbe ricevuto 10 milioni dalla Shernon: ma questi 10 milioni sarebbero arrivati dalla cessione da parte della Shernon del magazzino di Mercatone Uno a una società americana (con un guadagno di 8 milioni da parte di quest’ultima) e non da fondi nella disponibilità della stessa Shernon. Inoltre nei mesi di gestione la Shernon avrebbe accumulato 10 milioni di debiti verso l’erario, con 60 milioni di debiti verso fornitori. Non sarebbe stata versata l’Iva, come le ritenute d’acconto sui lavoratori.
Ecco quindi che si capisce il primo problema: i commissari, e quindi il ministero e quindi il ministro (Carlo Calenda), hanno scelto un imprenditore che non forniva garanzie e non aveva liquidità per affrontare una sfida del genere.
Ma da dire c’è anche altro. La crisi di Mercatone Uno è stata seguita con grande attenzione dal MoVimento 5 Stelle, che fin dall’inizio ha impegnato parlamentari e attivisti nella vigilanza. Purtroppo poi Luigi Di Maio è diventato ministro. E mentre la situazione si andava facendo via via più difficile, i parlamentari del MoVimento 5 Stelle hanno curiosamente perso la voce sulla questione.
Eppure le cose succedevano lo stesso: «Questo imprenditore è stato scelto dal ministero: il suo piano industriale, le garanzie, e i partner sono stati vagliati e autorizzati dal ministero. Ci sta che il Governo, in quel dato momento, abbia valutato la proposta di Rigoni come la migliore, ma da quando abbiamo fatto l’accordo a giugno per la cessione del plesso aziendale sono passati nove mesi e in questi nove mesi un comitato di sorveglianza del ministero doveva vigilare, però non lo ha fatto» ha dichiarato il mese scorso all’agenzia DIRE Stefano Biosa, della Filcams-Cgil di Bologna.
E di avvisaglie ce n’erano state diverse. A febbraio c’era stato un incontro con Shernon in cui era stata prospettata una ricapitalizzazione; se ne sarebbe dovuto capire di più in un altro summit il 5 aprile. Un altro tavolo era fissato per il 2 aprile a Roma ma è slittato.
Al MISE a quanto pare la cosa non ha destato sospetti. Anche perchè — ricorda Biosa — «su questa azienda sono stati spesi milioni di euro di soldi pubblici in ammortizzatori sociali».
Mentre i suoi ascari ieri cercavano di addossare tutta la colpa a Calenda (il quale ha invece la colpa di aver assegnato all’unico che si è presentato l’azienda anche se era evidente che non aveva i mezzi economici per sostenerla), il ministro Di Maio dimostrava tutta la sua inadeguatezza al ruolo che ricopre .
Di Maio infatti si comporta come una segretaria che anticipa o posticipa gli impegni in base alla necessità di dire qualcosa alla pubblica opinione per buttarle fumo negli occhi mentre si va a votare.
Il punto, come capirebbe anche un deficiente dotato di tessera elettorale (ma su questo non bisogna mettere la mano sul fuoco…), è che lui doveva vigilare prima, non anticipare dopo.
Mercatone Uno rappresenta un fallimento bipartizan della politica italiana. Ma per fortuna adesso ha detto Salvini che ci metterà le mani lui. Così dalla tragedia al disastro sarà un attimo.
(da “NextQuotidiano”)
Leave a Reply