LA STRANA ASSENZA DI BERSANI E DI ALTRI 34 DEPUTATI PD SULLA SFIDUCIA A CALDEROLI
CHISSA’ PERCHE’ QUALCUNO FA SEMPRE DA STAMPELLA AGLI UOMINI DELLA LEGA… ASSENTE ANCHE UN DEPUTATO SU TRE DI FUTURO E LIBERTA’, MA QUI LA COSA SI SPIEGA: A QUALCUNO SI CONTORCEVA LO STOMACO AD ASTENERSI E SALVARE CALDEROLI
Al voto hanno partecipato in 170, pari all’82,9 per cento del totale.
Tutto sommato la percentuale dei deputati del Partito democratico presenti alla Camera per sfiduciare il ministro leghista, Roberto Calderoli (mozione respinta con 293 voti contrari, 188 favorevoli e 64 astenuti) è piuttosto elevata.
Tuttavia, a confronto con le altre forze politiche (100% Lega e Idv, Pdl al 91,4) è bassina.
Solo Futuro e libertà (che si è astenuta) ha fatto peggio (61,3%).
Al di là dei numeri, il peso specifico medio dei presenti è abbastanza indicativo di quante (poche) energie il Pd abbia speso per sfiduciare uno degli uomini di punta della Lega Nord al governo.
Bastava guardare il banco della conferenza stampa di Natale che si è svolta ieri a Roma: accanto al segretario Bersani sedevano Enrico Letta e Rosy Bindi.
Nessuno dei tre ha votato la sfiducia.
Fatta eccezione per Rosy Bindi, presidente di turno della Camera non poteva votare, è difficile non chiedere conto dell’assenza a Letta e Bersani: “Accolgo le obiezioni come uno stimolo per fare meglio l’opposizione — risponde il segretario del Pd — ma ritengo che noi la patente ce l’abbiamo”.
Nessun problema dunque.
Non si può tuttavia fare a meno di notare che sia Bersani che Letta fossero in aula per votare tutte le nove mozioni precedenti a quella di Calderoli.
Alla decima hanno ritenuto di non dover partecipare.
Ma non sono gli unici: Massimo D’Alema ha fatto lo stesso, Beppe Fioroni e Paolo Gentiloni sono addirittura tornati tra i banchi per le due mozioni seguenti a quella di sfiducia.
Alla fine gli assenti in totale tra le file del Pd sono stati 35.
Il ministro della Semplificazione invece ha potuto contare sul sostegno di molti colleghi di governo (Alfano, Bossi, Brunetta, Carfagna, Frattini, Maroni, Meloni, Prestigiacomo e Tremonti), tutti in aula giusto il tempo necessario per votare contro.
Certo, l’esito del voto non sarebbe cambiato (l’astensione di Udc, Fli e Api non lo avrebbe comunque permesso), chissà però quale sarà il giudizio della base del Pd di fronte all’atteggiamento “morbido” di molti big del partito.
Su questo Bersani è stato chiaro: “A noi ci pagano per farle digerire le cose, mica per andare in coda agli altri”.
Sfiducia o non sfiducia, rimane il fatto che nell’ordinamento italiano, al momento, non esiste più il reato di associazione militare a fini politici, eliminato dal decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 66.
Una non ancora identificata “manina” ha inserito la cancellazione di quella fattispecie di reato – che, guarda caso, azzera il processo di Verona contro le cosiddette “camicie verdi” che inizialmente vedeva tra gli imputati lo stesso Calderoli – tra altre inutili centinaia di norme giustamente eliminate.
Chiamato a risponderne durante il question time del 13 ottobre, il ministro della Semplificazione avrebbe mentito al Parlamento addossando tutta la responsabilità sul Comitato scientifico del ministero della Difesa (che nega). Calderoli si è difeso rivendicando la correttezza del suo operato, l’Idv ha rilanciato, addossando al ministro la responsabilità di una scelta “in palese contrasto con l’articolo 18 della Costituzione, che vieta le organizzazioni di tipo militare per scopo politici”.
Le opposizioni insomma sono scese da 311 deputati del voto di sfiducia al governo alla miseria di 188 più 64 astenuti, ovvero un totale di 252, ben 59 in meno.
Se si fossero presentati tutti e avessero votato contro Calderoli costui oggi non sarebbe più ministro e il governo sarebbe saltato per aria, visto che la maggioranza si è fermata a 293.
E sarebbe stato un risultato ancora più pesante che avrebbe rovesciato il risultato del voto di fiducia.
Qualcuno sta ciurlando nel manico?
Finiani e Pd non ne escono certo bene.
Ma spiegazioni non ne danno.
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