LA “VITTORIA DI PIRRO” DI MATTEO: I DISSIDENTI PD AFFILANO LE ARMI SULL’ITALICUM
SONO MANCATI 45 VOTI CHE HANNO IMPEDITO DI RAGGIUNGERE I DUE TERZI DEL SENATO… MA SULL’ITALICUM NEL PD SARANNO MOLTI DI PIU’
Quei 183 sì del Senato alle riforme sono come il classico bicchiere. Mezzo vuoto per il senatore Pd Massimo Mucchetti che parla di una “vittoria di Pirro” per il premier. Mezzo pieno invece per il sottosegretaio alle Riforme Luciano Pizzetti, anche lui del Pd: “Un risultato eccezionale, non si è praticamente mai vista un’assemblea che vota per il proprio suicidio”.
Poco più di una quarantina i voti che mancano all’appello nella strana maggioranza sulle riforme, che comprende anche Forza Italia: 16 del Pd, 19 di Fi, 8 di Ncd e 2 dei Popolari.
Al di là dei bicchieri, questi numeri sono un campanello d’allarme per il prossimo passaggio chiave a palazzo Madama: l’esame dell’Italicum, previsto per l’autunno.
Non subito, visto che dal 3 settembre la commissione Affari costituzionali si occuperà del disegno di legge sulla Pubblica amministrazione.
L’ha deciso oggi, subito dopo il voto finale in Aula, l’ufficio di presidenza guidato da Anna Finocchiaro, su richiesta di Forza Italia e Ncd, cui il Pd si è adeguato, condividendo la necessità di lasciar “decantare” la situazione.
Dunque l’Italicum rischia di slittare ancora, nonostante gli annunci dei giorni scorsi, e di arrivare in Aula “non prima di novembre”, come profetizza la capogruppo di Sel Loredana De Petris, complice anche l’autunno caldo in arrivo che richiederà un Parlamento occupato a tempo quasi pieno sui dossier economici.
Ma non basterà solo una tranquilla decantazione.
Dopo l’ultimo vertice tra Renzi e Berlusconi, mercoledì scorso, la nuova legge elettorale resta un rebus.
Il premier ha presentato la lista delle modifiche possibili, dalle soglie alle preferenze, ma il Cavaliere ha preso tempo, e sulle preferenze resta un no abbastanza pesante, come spiega su Repubblica il plenipotenziario per le riforme Denis Verdini: “Per noi l’Italicum prima versione resta la migliore legge possibile e da lì non ci muoviamo…”.
Il muro di Verdini rischia di creare più di un problema a Renzi in casa sua.
Al di là dei 16 dissidenti, che non hanno votato il nuovo Senato, c’è nel Pd un’ampia fetta di senatori bersaniani e lettiani che fanno riferimento all’Area Riformista che l’Italicum così com’è non lo voterebbero.
Una trentina, tra questi anche Miguel Gotor, Francesco Russo e la capogruppo in prima Commissione Doris Lo Moro, senatori che hanno contribuito fattivamente al successo della riforma costituzionale.
Ma che sull’asse del Nazareno hanno più di un malumore. “Quando la Camera a marzo ha detto sì all’Italicum non c’era ancora il Senato non elettivo”, spiega Gotor. “Ora si pone un problema di razionalità del sistema. Se c’è una sola camera politica non può essere composta di nominati e non può avere soglie d’ingresso così alte. Sulla legge elettorale non possiamo essere dipendenti da Forza Italia come lo siamo stati sul Senato e bisogna parlare con tutti, a partire dalla maggioranza. C’è un paradosso dei tempi nuovi: più il Pd è forte alle urne e più appare sensibile ai veti di Verdini”.
“Non piegarsi a Verdini” è da qualche settimana uno dei leit motiv di Pier Luigi Bersani.
E nella minoranza Pd, dopo il vertice Renzi-Berlusconi, sta crescendo anche l’allarme per un possibile “soccorso azzurro” al governo sui temi economici, visto come un incubo.
C’è poi il rapporto tra Pd e Ncd. In Aula Gaetano Quagliariello ha ribadito che una “camera di nominati sarebbe intollerabile”, e i dissidenti Pd hanno applaudito, a partire da Corradino Mineo e Walter Tocci.
“Con questa riforma la Camera diventa sei volte più grande del Senato e consente a chi vince le elezioni di utilizzare il premio di maggioranza per impossessarsi del Quirinale”, ha detto Tocci in Aula.
“Diciamo la verità : se Berlusconi avesse modificato la Costituzione indebolendo l’indipendenza della Presidenza della Repubblica avremmo riempito le piazze…”.
Il concetto è sostanzialmente condiviso dalla trentina di senatori di Area riformista. Che, non a caso, hanno provato in vari modi ad allagare la platea dei Grandi elettori per il Colle e a modificare i quorum per l’elezione del presidente della Repubblica (quest’ultimo obiettivo è stato parzialmente centrato).
“Ma sui grandi elettori, e cioè su un tema delicatissimo e riconosciuto da tutti come il ruolo di garanzia del Capo dello Stato, abbiamo dovuto subire 4 veti in fila da parte di Forza Italia”, protesta Gotor.
E il dissidente Felice Casson (che è uscito dall’Aula insieme alle opposizioni) rincara la dose: “Sulla legge elettorale non siamo solo in 16 a dire no, ma molti di più. Renzi invece che inseguire Verdini, dovrebbe cercare un consenso ampio nel Pd, e poi anche nella sua maggioranza”.
A palazzo Chigi resta valido lo schema del premio al 40%, di una soglia al 4% per tutti e di un mix tra capilista bloccati e preferenze.
Ma non è detto che questo sarà l’approdo finale di una trattativa che si preannuncia lunga e faticosa.
“Pronti a modifiche, ma solo con l’accordo di tutti i sottoscrittori del patto”, ha ribadito ieri il ministro Maria Elena Boschi.
Mentre Anna Finocchiaro è più esplicita: ”Ormai possiamo dire con relativa certezza che la legge elettorale non sarà l’Italicum, non sarà cioè un sistema con le storture che ha la legge approvata dalla Camera, come le soglie di sbarramento molto alte e il premio al 37%”.
Per ora sono solo schermaglie. Ma è quasi certo che in questa pausa estiva il tema resterà in agenda. “In cima all’agenda”, conferma il sottosegretario Pizzetti.
“Io sono stato uno dei facilitatori sulla riforma costituzionale, ma le liste bloccate non passeranno”, avverte Russo, del Pd.
“La maggioranza del nostro gruppo non le voterebbe, e del resto lo stesso Renzi si è impegnato pubblicamente a trovare una soluzione alternativa. Lo prendo in parola…”.
(da “Huffingtonpost”)
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