L’ACCORDO UE-REGIMI AFRICANI FA SOLO AUMENTARE L’INDUSTRIA DETENTIVA
GLI AIUTI ALLO SVILUPPO SONO IN REALTA’ DIROTTATI PER I CONTROLLI ALLE FRONTIERE E PER I CENTRI DI DETENZIONE… L’ITALIA E’ IL PAESE A PIU’ ALTO TASSO DI IGNORANZA SUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE:A QUALCUNO FA COMODO COSI’
Quel Fondo va “rifondato”. Se non si vuole che l'”aiutiamoli a casa loro”, per l’Europa, continui a essere ciò che oggi è: “Aiutiamo i dittatori africani a costruire centri di detenzione”.
Le analisi e le proposte del mondo delle Ong sono, di fatto, una risposta a quanto sostenuto dall’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini che, in una intervista a La Stampa, afferma: “I paesi africani facciano la loro parte riprendendosi i migranti”.
Senza alzare i toni o lanciarsi in sterili filippiche, il Rapporto documenta una verità inquietante: l’unica “industria” in crescita grazie ai fondi europei in Africa è quella detentiva (prigioni, centri di detenzione, polizia anti-migranti, addirittura contractors ad hoc…).
Lanciato nel novembre 2015 al vertice de La Valletta, l’Eutf è il principale strumento finanziario di 3,2 miliardi di euro per il coinvolgimento politico dei partner africani nel campo delle migrazioni.
Trattandosi di fondi della cooperazione — rimarca il Rapporto – il loro utilizzo dovrebbe essere guidato da principi di efficacia.
Invece, le interviste condotte durante la ricerca hanno evidenziato una chiara tendenza in alcuni paesi all’uso dei fondi Eutf nella gestione delle frontiere e al rafforzamento della cooperazione per facilitare i rimpatri di migranti irregolari.
Attraverso tre casi studio — Libia, Niger e Etiopia — il rapporto analizza i Migration Compact tra l’Unione Europea e questi paesi e le possibili conseguenze per i migranti e la stabilità locale.
La scelta di concentrarsi su questi paesi è stata dettata dal loro ruolo strategico nei processi migratori: la Libia è un paese chiave di transito e il principale punto di partenza verso l’Europa attraverso la rotta del Mediterraneo centrale; il Niger è il principale paese di transito per i migranti provenienti dall’Africa occidentale; l’Etiopia è un importante paese di origine e transito per i migranti provenienti dal Corno d’Africa.
Le interviste realizzate hanno rivelato forti debolezze nel sistema di governance: secondo le organizzazioni della società civile locale, i progetti sono costruiti direttamente nei paesi membri e a Bruxelles, sulla base delle proprie priorità nazionali.
Il processo di selezione è opaco e soggetto a pressioni da parte degli Stati membri. Non basta. Gli attori locali vengono consultati a malapena e soltanto dopo che le decisioni sono state prese. Infine non c’è un quadro di riferimento che permetta alle agenzie di monitorare e valutare il loro lavoro sul campo.
L’Eutf, al contempo, può comportare anche gravi effetti negativi sulla stabilità e lo sviluppo locale, e rispetto ai diritti umani dei migranti e dei rifugiati.
Rispondendo alle priorità politiche europee e concentrandosi su misure di repressione, i progetti possono effettivamente alimentare una governance inadeguata, incoraggiando attività di contrabbando e traffico più rischiose, facilitando l’industria detentiva e la violazione dei diritti umani, limitando l’impatto economico positivo della migrazione regolare, alimentando lo scontento popolare e l’instabilità locale, e impedendo ai rifugiati di ottenere la protezione di cui hanno bisogno.
“Abbiamo molti dubbi e preoccupazioni sulle modalità di impiego dei fondi e su quella che si presenta come una tendenza a spostare – e condizionare – fondi per lo sviluppo verso il maggior controllo delle frontiere”, rimarca l’europarlamentare Elly Schlein.
Nel Rapporto sono contenute diverse proposte di “rifondazione” del Fondo.
Tra le quali: offrire vie di accesso regolari a migranti e rifugiati; impedire la deviazione degli aiuti allo sviluppo dai loro obiettivi di sradicamento della povertà ; integrare i diritti umani in tutte le azioni di cooperazione del Trust Fund, bloccando i finanziamenti alla guardia costiera libica; ridefinire l’attuale approccio dell’Ue al nesso tra migrazione e sviluppo, impegnandosi di più sulla protezione e per mobilità positive”
“Apocalisse umanitaria”, è il titolo, del 15mo rapporto di Diritti Globali.
Oggi nel mondo, afferma il Rapporto, ci sono 65,6 milioni di profughi in fuga da guerre, pulizie etniche, disastri ambientali, povertà assoluta.
Vent’anni fa erano quasi la metà : 33,9 milioni.
Ma a moltiplicarsi non è solo il “popolo” dei migranti, ma anche l’ignoranza dell’opinione pubblica europea attorno a questo fenomeno.
E in questo senso, l’ “l’Italia risulta il paese con il più alto tasso di ignoranza sull’immigrazione in tutto il mondo, come rilevato dalla commissione “Jo Cox” della Camera, citata nel lavoro di Diritti Globali.
L’ignoranza come viatico della demonizzazione: la maggioranza dei cittadini italiani pensa che gli immigrati presenti sul suolo italiano siano il 30% della popolazione, anzichè l’8%, e che i musulmani siano il 20%, mentre sono il 4%”.
Inoltre, nel 2016 sono stati registrati in Italia 123.600 richiedenti asilo, la cui domanda viene bocciata nel 60% dei casi; in Germania 722.300, ossia il 60% del totale all’interno dell’Ue.
Concord, Cini, Diritti Globali, le centinaia di associazioni che hanno sostenuto la campagna “Ero Straniero”, Oxfam che non ha smesso di documentare la vergogna dei “paradisi fiscali”, anche europei: sono parte di un universo solidale che agisce, che pratica e non predica, che denuncia e propone. E chiede conto dei miliardi spesi in Africa per realizzare lager.
(da “La Repubblica”)
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