LE CAUSALI DEL DECRETO DIGNITA’ E IL RISCHIO DI PERDERE POSTI DI LAVORO
633.000 CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO IN SCADENZA A FINE ANNO RISCHIANO DI NON ESSERE RINNOVATI
Il nodo della causale è il centro del decreto dignità .
Secondo le nuove regole i contratti a termine potranno durare al massimo 24 mesi (e non più 36); il primo potrà essere senza causali, purchè non superi 12 mesi; eventuali rinnovi (al massimo 4 e non più 5) dovranno essere motivati da precise causali e saranno gravati ogni volta da un contributo aggiuntivo dello 0,5% sull’imponibile previdenziale.
La motivazione dietro questa scelta è evidente: evitare il proliferare di contratti a termine e rendere più difficoltoso il continuo rinnovo degli stessi.
L’allarme lanciato dalle organizzazioni datoriali però è altrettanto chiaro: «633 mila contratti a tempo determinato in scadenza a fine anno rischiano di non essere rinnovati», dei quali 277mila solo nel settore del commercio.
Spiega il Corriere della Sera:
Le aziende, esaurito il primo contratto a termine che resta libero da causali (purchè non superi i 12 mesi), potrebbero pensarci due volte prima di rinnovare il contratto, visto che le disposizioni del decreto si applicano anche ai rinnovi dei contratti in corso.
Più facile che chiamino un’altra persona a fare lo stesso lavoro (soprattutto se esso non richiede particolari professionalità ), evitando così costi aggiuntivi e il rischio di contenzioso sulle causali.
Per esempio, osservano gli addetti ai lavori: il decreto, fra le motivazioni per il rinnovo del contratto, contempla le esigenze non programmabili.
Come la mettiamo con i saldi, che ci sono ogni anno e quindi sono programmabili?
Il Sole 24 Ore oggi pubblica esempi di casi pratici in cui l’utilizzo delle causali può essere o no ammesso in aziende tipiche.
Un esempio è quello di un’azienda produttrice di scarpe:
Un’azienda che produce scarpe ottiene una commessa da un nuovo cliente, per un articolo. È richiesta la produzione di un ingente quantitativo, per soli sei mesi. Pur trattandosi di un’esigenza connessa all’attività ordinaria, la causale sussiste, perchè l’incremento di lavoro è “temporaneo”, “non programmabile” (con il nuovo cliente non ci sono stati rapporti lavorativi precedenti, nè erano in corso trattative commerciali) e “significativo” nei volumi prodotti.
Un caso diverso è invece quello della gestione di un nuovo magazzino per aziende che si occupano di logistica:
Un’impresa che si occupa di logistica deve far fronte alla gestione di un nuovo magazzino, affidatole da un cliente “storico”. La trattativa si è protratta per alcuni mesi e la commessa, pur essendo temporanea, richiede qualche giorno al mese di attività da parte di due addetti, sui 100 totali occupati dall’azienda. Non è possibile assumere due lavoratori a termine per gestire l’incarico, perchè l’incremento non si configura come “significativo” e “non programmabile”.
E poi ci sono i casi limite, in cui il rischio di contenzioso è elevato:
Una ditta che vende prodotti per il giardinaggio decide, per il periodo estivo, di aggiungere un corner dedicato a condizionatori e ventilatori. La stessa strategia commerciale era stata seguita due anni fa. C’è bisogno di impiegare due addetti. L’esigenza è di certo “temporanea” e “oggettiva”, ma è difficile affermare la completa estraneità rispetto all’attività ordinaria (la stessa campagna era già avvenuta): il lavoratore a termine potrebbe invocare la trasformazione a tempo indeterminato.
(da “NextQuotidiano”)
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