LE STRATEGIE DEI PEONES PER FARSI RIELEGGERE, TRA CAMBI DI CASACCA E ALLEANZE IMPROBABILI
SI PUO’ TORNARE IL PARLAMENTO CON 1% DEI VOTI, E’ INIZIATA LA CORSA, ECCO CHI SONO E COME SI STANNO MUOVENDO
«Momento d’oro per l’area di centro». Clemente Mastella, 70 anni di cui 32 in Parlamento e 14 da sindaco di Ceppaloni, risponde al telefono al primo squillo e va fluido come un tip tap: segno in codice che la campagna elettorale è cominciata.
Pier Ferdinando Casini, 62 anni di cui 34 tra Camera e Senato, appena “sacrificatosi”, diciamo, a dirigere la commissione d’inchiesta sulle banche, significa la stessa cosa con parole opposte: «Candidarmi? Non so, guardo la faccenda con distacco», dice a Repubblica.
Tutto ormai si muove, la nuova legge elettorale è il detonatore e nella legislatura record di cambi di casacca (siamo a 531) ora la cavalcata è alla salvezza, alla conquista dei comodi posti dei listini proporzionali, quando non dei 231 (Camera) più 109 (Senato) appena più decisivi dell’uninominale.
Ad Arcore, come nella più immutabile delle tradizioni, è ripartita la processione delle cene con i possibili alleati di Berlusconi: sono già andati a conferire, fra gli altri, il centrista ex casiniano Lorenzo Cesa, l’ex alfaniano e saggio di Napolitano Gaetano Quagliariello, il verdiniano quasi apostata Francesco Saverio Romano, il già deluso Stefano Parisi.
Parole d’ordine: contenere la Lega (oltre che sconfiggere Grillo), gli uni, e sopravvivere, gli altri. Serviranno tutti allo scopo, ciascuno il proprio.
Al Nazareno la faccenda non è altrettanto plastica – anche per evidenti questioni di caos – ma la caccia di alleabili al Pd è persino più aperta, visto che Matteo Renzi l’altro giorno ha lanciato un appello Che-Guevara-fino-a-Madre-Teresa da far invidia a Jovanotti. La nuova legge d’altra parte sul punto è spietata: grazie all’incrocio tra coalizioni leggere e sbarramento basso, vince chi aggrega di più
Insomma il Rosatellum sarà pure un mostro alieno – un «meccanismo sconosciuto al mondo» l’ha chiamato in Aula alla Camera Pier Luigi Bersani – però sulla politica ha già sortito uno straordinario effetto doping: la corsa al voto è cominciata a scoppio, come se dovesse durare un mese invece di almeno quattro (come dicono alla buvette storpiando lo slogan elettorale siciliano: sarà lunghissima). C’è chi ha ricominciato a fare su e giù per il proprio collegio già durante il Ponte d’inizio novembre, con la speranza di continuare almeno fino a dopo San Valentino (a quel punto la candidatura sarà certa).
C’è chi ha ripreso a distribuire in giro il suo libro di qualche anno fa, per avere così l’occasione di nuovo lustro.
C’è chi d’improvviso scopre di volere una vita fuori dal Parlamento — agnizioni che di solito si svelano un attimo prima della mancata ricandidatura. Lo Scioglimento (delle Camere) si staglia all’orizzonte, prenatalizio addirittura dicono.
L’ultimo provvedimento sul quale è tollerato l’arrembaggio pre-voto è del resto il collegato fiscale, sfogatevi, poi basta. E, anche se i collegi sono in via di ridefinizione al Viminale, già si ragiona sulle Liste: per il terrore di quelli che si giocano la ricandidatura — soprattutto nei grandi partiti, che saranno fatalmente ridimensionati, a partire da Pd e Fi; per la gioia di piccoli e piccolissimi, potentati locali, sovranismi ed ex scissionisti di ogni dove.
Dall’1 per cento in su, infatti, vale tutto. Meglio ancora che con il Porcellum, da questo punto di vista. Un incubo, per taluni.
Basti dire che persino Domenico Scilipoti non esclude di far parte della corsa. Di certo, è il trionfo di Verdini e del verdinismo: sono piccolo ma ti servo. E tutti a sciamare di là , dove più serve, al grido (verdiniano): «Le ideologie non esistono più, diciamocelo».
Enrico Zanetti, colui che ha agilmente portato Scelta civica in braccio ad Ala giocandosi così il posto da vice-ministro, su Facebook vira addirittura al pappappero: «Abbiamo fatto bene a tenere il punto quando suonavano forti le sirene del partito unico e ci dispiace per quanti vi hanno invece frettolosamente ceduto».
Insomma meglio lui di tutti i montiani che sono andati nel Pd. Adesso, sempre attento a «non diluire l’identità », Zanetti sembra pronto a salvarsi buttandosi a destra.
Mentre il suo ex vice Angelo D’Agostino, al contrario, vorrebbe andare a sinistra. E Denis Verdini, abbandonata a quanto pare l’ipotesi di candidarsi in un collegio estero, tergiversa attorno all’istinto da patto del Nazareno in virtù del quale, se potesse, darebbe direttamente un braccio a Renzi e l’altro a Berlusconi, senza nemmeno passare dalle urne. In Forza Italia, c’è da dire, lo rimpiangono non poco: le liste le aveva sempre fatte Denis, raccontano, e nè i capigruppo Romani e Brunetta, nè tantomeno il reggitore avvocato Niccolò Ghedini, sembrano avere il giusto spessore di spregiudicatezza politica. Spregiudicatezze magari sì, ma altre. Tornerà dunque Verdini dall’ex Cav? Può sempre darsi.
«Adesso, nel sistema tripolare, chi sta al centro e ha un radicamento territoriale anche piccolo, conta ancora più di prima: il valore sei tu, non il partito che magari crea problemi», spiega Mastella, buttandosi alle spalle pure lui una qualsiasi residua ideologia. Lui, pare chiaro, è destinato alla destra, anche se sogna come nell’ultimo trentennio un rassemblement di centro.
I “ponti d’oro” li ha già visti spalancarsi, come quasi tutti quelli che, per poco che facciano, segneranno la differenza tra la coalizione che vince e quella che perde: Raffaele Fitto per la Puglia, Flavio Tosi in Veneto, e via dicendo.
In pratica, come dice uno di loro, in questa logica «anche se non prendi il 3 per cento, che è la soglia per accedere alla ripartizione dei seggi, comunque qualcuno te lo porti a casa», grazie a qualche concordata ospitalità del partito più grande, al quale si garantisce la vittoria nell’uninominale. «Insomma, più gente corre in giro, meglio è», è la sintesi in casa azzurra.
Spaccarsi in due sembra dunque il destino segnato di quelli che non hanno grosse speranze di far molto meglio. Esempio principe, quello di Ap: Maurizio Lupi e mezza rappresentanza parlamentare finiranno a destra, Angelino Alfano e Beatrice Lorenzin e l’altro mezzo gruppo verso sinistra.
Fatica? Si sappia che, nei suoi piani, Pier Ferdinando Casini progetta magari di unirsi con gli alfaniani di sinistra. Con lui ci saranno i Centristi per l’Europa, cioè i sopravvissuti all’era della fusione con Monti e Fini, gruppo che il capo è stato ben attento a non aumentare di numero: Ferdinando Adornato, Giampiero D’Alia, Luigi Marino, Aldo di Biagio.
Fedelissimi a questo punto, si capisce. «Stiamo giocando su una zattera, ma questo abbiamo», è l’ammissione interna.
Un’altra zattera, versione a destra, è sempre plurale: Energie per l’Italia. Il soggetto fondato da Stefano Parisi dopo esser stato scaricato dal Cavaliere, adesso cerca di raccontarsi come una specie di Mdp, a sinistra di Fi ed è pronto, manco a dirlo, a partecipare al governo: «Non possiamo aspirare a Palazzo Chigi, ma sappiamo che superando la soglia del 3 per cento saremo chiamati a responsabilità di governo», racconta il parisiano Guglielmo Vaccaro.
Ambizione eccessiva? Parrebbe, sulle prime: tuttavia, «al momento nei sondaggi la distanza tra primo e secondo partito non supera mai il 3-4 per cento. Sono 80 i collegi uninominali che ballano, più del venti per cento; quindi penso che proposte ne avremo, nei prossimi mesi».
L’incubo del Rosatellum, insomma, è appena cominciato.
(da “L’Espresso”)
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