LIBERIA, L’EX MILANISTA WEAH VERSO LA PRESIDENZA
INTERVISTA AD ALBERTINI: “DORMIVA SUL PAVIMENTO, NON HA MAI DIMENTICATO LA SUA GENTE”… “E’ UN’ICONA DELL’AFRICA, HA SCELTO DI DONARSI ALLA SUA GENTE”
“L’Africa è stata la memoria che gli ha permesso di conquistarsi quello che era diventato: un fuoriclasse liberiano, il primo africano a sollevare il Pallone d’oro. Non l’aveva mai annullata. Ne era orgoglioso”.
Il prossimo presidente della Liberia potrebbe essere lui, George Weah, attaccante del Milan dal 1995 al 2000.
Al suo secondo tentativo di raggiungere la presidenza del Paese, Weah sembra vicino al traguardo con un netto distacco sull’avversario, il vicepresidente Joseph Boakai.
Non avendo raggiunto il 50 più 1 di preferenze, i due andranno al ballottaggio il 7 novembre. Forse. Perchè, sulla scia della recente esperienza storica kenyana, la Corte suprema liberiana sta vagliando una petizione che potrebbe annullarlo per brogli elettorali e presunte interferenze da parte della presidente premio Nobel per la Pace, Ellen Johnson Sirleaf.
Rimane comunque il favorito. E celebrato già come vincitore dai suoi ex compagni di squadra
A raccontarcelo con ironia, dovizia di particolari e grande affetto, il centrocampista Demetrio Albertini, suo compagno di squadra ai tempi del Milan.
Che tipo di rapporto avevate?
“Abbiamo giocato insieme per cinque anni. Abitavamo vicini e spesso tornavamo insieme a casa in macchina”.
Di cosa parlavate?
“L’italiano di George era pessimo – ricorda ridendo Albertini – E per questo lo prendevamo tutti in giro. Ma lui aveva un suo modo di comunicare talmente speciale e carismatico che incantava tutto il gruppo. La lingua italiana diventava un dettaglio. Misterioso e schivo. Tendeva a stare in disparte. Andava coinvolto, stimolato.”
Perchè?
“Non era certo per una questione razziale. Il suo migliore amico era l’attaccante Marco Simone. Aveva rapporti uguali con tutti, neri e bianchi. Non faceva gruppo. Dispensava pillole di saggezza che erano sempre stralci di parabole africane. Non andava mai tronfio del benessere raggiunto. Gli era ben presnete nella memoria, che in Liberia le cose andavano diversamente. Valorizzava quello che aveva. E il suo meraviglioso sorriso era il suo modo di comunicare.”
Cosa ricorda di George e del rapporto con la sua terra?
“Aveva un legame fortissimo con le sue origini. Come ho visto in pochi altri calciatori neri, più legati al Paese ospitante. Forse Eto’o era come lui. George dormiva quasi sempre per terra. Il materasso non era abbastanza duro”.
Nato e cresciuto nella baraccopoli di Clara Town, a Monrovia, George è stato tirato su dalla nonna paterna insieme ad altri 15 bambini. Non c’era certo lo spazio per un materasso. Di necessità virtù, qualità degli africani. “Nei cinque anni passati insieme non ricordo un momento in cui non abbia mostrato l’orgoglio africano, liberiano. Un senso di appartenenza che lo portava a restituire al suo Paese quello che aveva ricevuto dalla vita “.
In che modo?
“Malgrado avesse la possibilità di giocare con la Nazionale francese, scelse quella liberiana, con cui collezionò 59 presenze e 16 gol, arrivando ad allenarla. Ne pagò interamente la trasferta una volta. Ha sposato una donna americana e il suo tempo libero lo trascorreva tra Stati Uniti e Liberia. In Africa era un’icona. Quando arrivava era ‘festa nazionale’. Un esempio. A parte fare da testimonial ovunque lo chiamassero, George dedicava due giorni a settimana a ricevere chiunque avesse bisogno di parlargli. Le porte di casa sua erano aperte. Ascoltava i loro problemi e dove poteva interveniva. Sentiva la responsabilità di essere un simbolo per il suo Paese. Non si è mai sottratto”.
Lei, Albertini, cosa ha pensato quando le è arrivata la notizia della sua candidatura a presidente
“Viste le sue qualità , non mi ha sorpreso. La sua indole è quella di donarsi. Ma la prima volta, ammetto di essermi sorpreso. Non aveva la stoffa del politicante. Era per la gente, con cui non aveva mai perso il contatto”.
La politica non si fa anche e soprattutto partendo da strade e piazze?
“Sì. Ma non è abbastanza. Essendomi occupato di politica sportiva, so cosa vuol dire. Niente a che fare con lo sport. Ma questa volta è diverso. Lui è cambiato”.
In che senso
“La prima volta si è buttato nella campagna elettorale perchè è stato spinto dalla sua gente. Ora, a distanza di 12 anni, si vede che ha fatto un percorso politico”.
Lo voterebbe?
“Assolutamente. So chi è. Non è un giudizio sul politico, ma sulla persona”.
Lo slogan politico della campagna di George è ‘Il cambiamento’. Il vostro, ai tempi del Milan, qual era?
“Fece il giro del mondo. Lo coniammo insieme e lui lo disse ai microfoni di una televisione dopo lo scudetto del ’99: ‘Ciao a tutti, belli e brutti'”.
(da “il Corriere della Sera”)
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