LO STALLO PERFETTO: LA CHIUSURA DEI VINCITORI PREOCCUPA IL QUIRINALE
CONSULTAZIONI LUNGHE PER EVITARE DI RIVOTARE A GIUGNO ….DUE VINCITORI CHE FANNO FINTA DI AVERE DIRITTO A GOVERNARE SENZA AVERE I NUMERI… RIDICOLO CHIEDERE VOTI AGLI ALTRI SENZA APRIRE UN CONFRONTO
Magari non era il giorno giusto per un nuovo “appello” alla responsabilità . Perchè la sorte ha voluto che le parole del capo dello Stato incrociassero una bombastica intervista di Matteo Renzi e, con essa, una giornata di intenso dibattito tra i partiti che, come noto, il Quirinale è sempre attento a non invadere o condizionare.
E, proprio per scongiurare il rischio di maliziose interpretazioni da parte delle solite iene dattilografe, è stato precisato che le riflessioni di Mattarella sulla “responsabiltà senza egoismi” non vanno messe in relazione al contesto politico, ma restano nell’ambito della cerimonia con i “ragazzi”, i 29 alfieri della Repubblica, premiati per impegno sociale, impegno per l’ambiente, solidarietà .
Però è anche vero che quella parola, “responsabilità ” appunto, torneremo a sentirla più volte.
Ed è chiaro il motivo: anche se è presto per parlare di “preoccupazione” — siamo solo all’inizio di un percorso molto lungo — c’è tutta la consapevolezza della difficoltà nei negoziati per far nascere un governo.
Anzi, proprio questo è il punto: non c’è negoziato, trattativa, iniziativa volta a trovare, o quantomeno a provarci, un compromesso alto e limpido.
Al Quirinale la fotografia appare quella di uno stallo perfetto. C’è una battuta che circola lassù in qualche ufficio, molto indicativa dello stato dell’arte: “Potremmo mettere la segreteria telefonica: oggi come ieri non sta accadendo niente, riprovate nei prossimi giorni”.
La situazione è, oggettivamente, inedita. Per carità , la politica non è quella di una volta, nella quale il capo dello Stato si è formato e delle cui logiche, prassi e consuetudini è portatore.
E gli esuberanti leader di oggi sembra che facciano una grande fatica — e in verità pare che non ne abbiano una gran voglia — a lasciar posare la polvere della campagna elettorale, per favorire un clima in cui si ragiona.
Ma, al fondo, c’è un dato — questo sì — preoccupante, tutto politico, che poco ha a che fare con l’evoluzione del linguaggio e dei costumi.
Ed è la testarda volontà di non fare i conti con la realtà . Vale un po’ per tutti. A partire dai “due vincitori”.
Parliamoci chiaro: se uno ha vinto, governa, nel senso che ha i numeri per governare. E non è questo il caso.
C’è una coalizione arrivata prima, il centrodestra, e un partito arrivato primo, i 5 Stelle. Risultati ottimi, in cui ognuno può vantare e rivendicare un primato, ma non l’autosufficienza per governare.
A un profondo conoscitore della storia della Repubblica come Mattarella sembrerà lunare il paragone con le elezioni del 1976, quelle dei “due vincitori” – formula coniata da Moro — e ancor più lunare l’altro frettoloso paragone con la situazione che allora si determinò col governo della “non sfiducia”.
In parecchi, oggi, lo indicano come esempio da seguire in questo contesto, per avviare la legislatura e favorire la nascita di un governo, come se l’astensione fosse una cambiale in bianco.
E invece se proprio c’è da trarre una lezione da quell’esperienza, consiste proprio nell’opposto. Per far nascere quei governi — i tre monocolore Andreotti – ci fu una trattativa di oltre quattro mesi e un confronto costante per tutta la durata dell’esperienza della solidarietà nazionale, sempre più intenso fino al voto da parte del Pci delle mozioni sulla Nato.
Altri tempi, altri protagonisti.
I due vincitori di oggi si stanno muovendo in modo opposto: chiedono aiuto negandone il bisogno, chiedono voti parlamentari senza aprire un confronto, anzi, se possibile, si sottraggono continuando ad agitare di fronte ai propri elettori i cavalli di battaglia più divisivi della loro campagna elettorale, come Salvini che chiede di votare la flat tax o l’abolizione della Fornero e Di Maio il reddito di cittadinanza.
È come se chiedessero al Pd di appendersi al cappio grillino o a quello leghista. E, a sua volta, il Pd attende, o meglio: una parte del Pd attende proposte serie, sensibile alle preoccupazioni del Colle, un’altra — è il caso di Renzi – coglie l’occasione per sottrarsi tout court rinunciando a indicare un disegno generale di uscita dalla crisi, come se il problema fosse solo degli altri.
Insomma, lo stallo perfetto. Col silenzio dell’incomunicabilità tra le parti e col sottofondo inquietante di un ritorno al voto in tempi rapidi, già evocato da Salvini e già messo in conto da Di Maio.
Perchè tra i due più che la prospettiva di un “patto di governo” sembra esserci, al momento, un gioco di sponda sulla prospettiva di un “non governo”, nel cinico calcolo che il voto “utile” lancerebbe una volata ai due vincitori, l’uno sulle spoglie di Berlusconi, l’altro sulle spoglie del Pd.
Una prospettiva che assomiglia tanto a un azzardo. E chissà se la lunga decantazione che si aspettano al Quirinale sia già un modo per evitare almeno questo. In fondo per chiudere la finestra elettorale di giugno, basta tirare avanti con le consultazioni fino a fine aprile.
A giudicare dall’aria che tira, non è un’ipotesi così remota. Tutt’altro, è anche possibile andare oltre. La soluzione, se mai ci sarà , sarà frutto di lunghe attese, periodi di decantazione, tentativi su tentativi, dove anche i fallimenti sono di aiuto perchè fanno capire che non ci sono alternative a un compromesso serio.
Tempi biblici, per un nuovo governo. Ma che comunque, al di là dell’esito, consentono di scongiurare un ritorno immediato alle urne.
(da “Huffingtonpost”)
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