L’ULTIMO ABBRACCIO A VALERIA: “NE’ RABBIA NE’ PAURA, LEI NON CE LO PERDONEREBBE”
I GENITORI DELLA RAGAZZA VITTIMA DELL’ATTENTATO: “SOGNAVA DI TORNARE IN ITALIA, ORA CE LA RIPORTEMO NOI”
“Non è rabbia. E non deve essere paura: Valeria non ci perdonerebbe mai se fossimo spaventati e dunque ora restassimo fermi. Nel suo nome, la nostra sfida deve essere quella di non smettere mai di provarci, per riuscire a cambiare le cose”.
Dario Solesin, 25 anni, è il fratello di Valeria. E nelle sue parole c’è il perchè al Bataclan non è soltanto morta una ragazza di 27 anni ma, senza retorica, un’occasione per l’Italia.
Ieri sera sono venuti ad abbracciare Valeria i suoi genitori, Luciana e Alberto, che si sono presentati all’ingresso dell’istituto di medicina legale, la Morgue, composti, come sempre in questi giorni, nel dolore: “Porteremo sempre nel cuore nostra figlia nel suo essere: quello che preme a me e a mio marito è il ricordo di nostra figlia che era una persona meravigliosa, una figlia, una persona, una cittadina e una studiosa meravigliosa ” aveva detto la signora dopo aver saputo che quel corpo era quello della sua Valeria.
“Immaginate una mamma: ha la figlia che studia alla Sorbona, che è un talento, e poi la perde così” dicono al consolato.
Eppure la signora Luciana non ha perso nemmeno per un attimo la dignità della sua disperazione. Anche ieri quando è arrivata a Parigi, insieme con il marito Alberto. Sono scesi, accompagnati dai funzionari della Farnesina, da una macchina scura e con Andrea, il fidanzato di Valeria, e sua sorella Chiara, sono entrati a braccetto nel viale che porta a questa palazzina di mattonelle rosse sopra la Senna, che nelle ultime ore si è trasformata in un enorme contenitore del male: una accanto all’altra, ci sono tutte le 129 vittime dell’11 novembre.
I genitori, i parenti, di tutti questi ragazzi e ragazze, sono stati pazienti e ordinati in fila per entrare in quello stanzone freddo e dare un nome e un cognome a chi in questo momento è catalogato soltanto come un numero.
Ad accoglierli ci sono operatori della Protezione civile e psicologi. Una di loro racconta: “Hanno voglia di parlare più che di piangere. Di capire più che di disperarsi. E tutti hanno il bisogno di andare avanti”.
Lo dice anche Dario, il fratello di Valeria. “Mai fermarsi, mia sorella non me lo perdonerebbe mai. Non sento rabbia ma soltanto un enorme vuoto. E una consapevolezza: non dargliela vinta, non spaventarci, ma continuare nell’unica direzione in cui Valeria avrebbe voluto: provare davvero a cambiare le cose, a fare in modo di vivere in un posto migliore “.
Prende fiato, poi continua: “Ero venuta a trovarla una settimana fa nemmeno. Era felice per la nuova casa, probabilmente la vita stava prendendo il senso che voleva”. La Francia, ma soprattutto l’Italia.
“Ho letto tante bugie in questi giorni. Ma una cosa è sicuramente vera: Valeria sarebbe certamente voluta tornare in Italia per fare le stesse cose che riusciva a fare in Francia. Per provare a rendere in qualche maniera migliore il nostro paese”.
Per tutto il pomeriggio, la fila davanti all’istituto legale era lunga.
C’erano i parenti dei morti del Bataclan e alcuni ragazzi islamici, che sembravano il disegno stereotipato della banlieue che si descrive in questi giorni: erano lì, raccontavano, per un “fratello morto”, sembra assassinato, in una delle periferie di Parigi.
Nell’ingresso della Morgue erano accanto mussulmani e cattolici, che piangevano e si consolavano, superamento plastico di quell’orrendo stereotipo passato in questi giorni: non è la religione a delineare vittime e carnefici. Ma soltanto la follia.
Così come ad accomunarli in questo momento è l’incertezza su quando potranno esserci i funerali: la data più ottimistica parla di venerdì come il primo giorno utile a riottenere le salme.
Le procedure di identificazione delle vittime di attacchi terroristici è infatti burocraticamente molto complessa e lunga. Serve ancora tempo.
Intanto oggi Venezia renderà omaggio a Valeria in piazza San Marco (alle 19) mentre alle 16 l’università Sorbona ha organizzato una cerimonia per la sua dottoranda in demografia.
Cerimonia alla quale probabilmente parteciperanno i genitori della ragazza.
Ieri, ad aspettarli fuori dall’istituto di medicina legale, non c’erano soltanto psicologi pronti a parlare. Ma anche un signore italiano mischiato ai giornalisti. Ma che giornalista, invece, non era: si chiama Matteo Ghisalberti, è italiano, vive a Parigi, e lui Valeria la conosceva bene.
“Ci siamo conosciuti due anni fa. Ha cominciato Andrea, come baby sitter di mio figlio che ha cinque anni. Poi Andrea aveva spesso problemi di lavoro e allora ha cominciato a venire anche Valeria. Ultimamente venivano insieme, e tutti e tre si sono divertiti tanto. Non ho ancora detto niente al bambino, anche perchè non sono ancora riuscito a trovare le parole giuste per spiegarle a me. Lui quando deve dire la lettera V, dice: V come Valeria. Ha saputo dell’attacco, lo ha sentito in tv. Era rimasto già colpito dall’attacco a Charlie Hebdo. E così mi ha chiesto: “Papà perchè gli uomini cattivi sono tornati?”.
Non gli ho risposto. Non sono stato capace”.
Giuliano Foschini
(da “La Repubblica”)
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