“LUNA ROSSA”, IL CENTRO DI ACCOGLIENZA NATO IN UNA CASA SEQUESTRATA ALLA MAFIA, SIMBOLO DI RISCATTO PER I MINORI PROFUGHI
NONOSTANTE INTIMIDAZIONI DELLA MAFIA E BUFALE ANTI-IMMIGRATI CAVALCATE DA ESPONENTI DI “NOI PER SALVINI”, SONO MOLTI I RAGAZZI CHE SI INTEGRANO E TROVANO LAVORO
“Alle mie spalle non c’è più nessuno e non c’è niente. Ci sono solo io, qui e adesso”. Abdul ha 17 anni, viene dal Ghana ed è trascorso un anno da quando, da solo, è arrivato in Italia. Nel suo paese non ha lasciato la famiglia. Il padre è morto quando ancora era piccolo, la madre è rimasta uccisa durante un’incursione e lui è vissuto solo nel villaggio sino a quando non ha deciso di andare in Libia per trovare un lavoro.
Quando la guerra è arrivata anche a Tripoli Abdul è scappato e con un barcone ha raggiunto l’Italia. Non sapeva dove stava andando, solo da cosa stava fuggendo.
Di storie come la sua la Comunità Luna Rossa ne ha ascoltate tante, da quando nel 2011 è nata con lo scopo di accogliere i minorenni che arrivano sulle nostre coste non accompagnati.
“Era il periodo della Primavera araba, il fenomeno della migrazione si stava consolidando”, ha raccontato all’Huffington Post il coordinatore Nicola Emanuele, “Il nostro obiettivo era quello di conoscerlo, per favorire l’integrazione degli stranieri, garantire una relazione serena ed evitare così le tensioni”
Abdul è solo uno dei 13 ragazzi ospitati adesso dalla Comunità , nata a Lamezia Terme, in Calabria, su richiesta del Ministero dell’Interno e entrata nel 2014 nel progetto S.p.r.a.r. (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati politici)).
Il suo vissuto si mescola a quello degli altri ragazzi, tra chi ha raggiunto l’Italia viaggiando assieme ai cadaveri dei propri amici, tra chi dagli scafisti è stato diviso dai genitori, finiti poi su barconi affondati.
Tra chi, parlando della suo passato in Africa, si limita a dire che “viveva così così”, per vergogna o timore di rivelare di essere stato un guerrigliere, un ragazzo soldato.
L’obiettivo della Comunità è anche quello di restituirli alla loro adolescenza, a un’idea di famiglia e di normalità di vita.
“Nelle situazioni di emergenza l’accoglienza diventa “arrangiata”, noi volevamo evitare questo”, ha detto Emanuele, “Per ciò accogliamo piccoli gruppi, in modo da garantire una maggiore attenzione ai minori, che sono in una fase della vita più fragile”
I ragazzi vengono seguiti in un percorso d’integrazione che parte da un controllo sanitario, prosegue per la scuola di alfabetizzazione per l’apprendimento dell’italiano e si completa con un progetto educativo volto a indirizzarli su una strada da percorrere una volta diventati maggiorenni.
“Dopo i 18 anni”, ha proseguito il coordinatore, “per sei mesi i ragazzi hanno la possibilità di stare in un appartamento per maggiorenni. Quel periodo di tempo ci serve per abituarli al distacco dalla comunità e aiutarli a programmare la partenza o a costruire il loro futuro qui”.
Dei circa 60 ragazzi ospitati nei quattro anni di attività da Luna Rossa a rimanere in Italia sono stati in realtà pochi. La meta è il Nord, dal quale sono costretti a ritornare ogni due anni per rinnovare il permesso di soggiorno.
Chi resta qui alle volte ha avuto la fortuna di essere assunto dalle aziende del territorio presso le quali i ragazzi svolgono tirocini formativi.
“Diamo loro due euro al giorno, che spendono sempre qui”, spiega Emanuele, “Per questo è sterile la polemica di Salvini in proposito, sono soldi che ritornano sul territorio. Bisognerebbe superare la paura dello straniero, ‘dell’uomo nero’. Pensarli come un’emergenza ci impedisce di vedere le persone, di vedere i volti, di incontrare le storie”.
Eppure proprio Luna Rossa è stata recentemente al centro di una vicenda emblematica, che ha dimostrato come una bufala possa diventare pretesto per scaricare odio razzista anche su dei ragazzi.
Un anziano ha accusato alcuni ospiti della Comunità di averlo violentato e derubato. Dopo gli accertamenti della polizia è stato chiaro che quanto dichiarato dall’uomo era falso, ma nonostante la smentita della notizia da parte del giornale locale fosse avvenuta in mattinata, nel pomeriggio sotto il palazzo che ospita “Luna Rossa” un gruppo di persone si è riunito per protestare, aggredendo verbalmente ospiti e operatori, che hanno riconosciuto tra la folla anche ultras, appartenenti a Casa Pound e a “Noi con Salvini”.
“È chiaro che a prescindere di quale fosse la verità c’era la volontà di attaccare un simbolo”, ha dichiarato Emanuele, “Ci siamo anche chiesti quale simbolo si volesse attaccare. Questo luogo non è soltanto un centro di accoglienza, ma anche un palazzo confiscato alla mafia”.
Il numero 97 di via dei Bizantini a Lamezia Terme apparteneva infatti alla cosca Torcasio.
Quattro anni fa Don Giacomo Panizza, presidente di “Progetto Sud” (di cui fa parte anche Luna Rossa) ha preso in gestione quel palazzo che per timore nessuno voleva e ne ha fatto un luogo di accoglienza per le fasce disagiate, consolidando la sua fama di “prete antimafia”, dopo esser stato testimone di giustizia contro un clan nel 2002, anno dal quale vive sotto programma di protezione.
Da quando è diventato sede di Progetto Sud il palazzo ha subito diversi attentati: una bomba la notte di Natale del 2011, un colpo sparato dentro una finestra lasciata aperta e una raffica di colpi sparati sulla serranda (i cui segni sono ancora visibili) a Pasqua dell’anno successivo.
“La forza della mafia è la cattiveria”, ha detto Don Giacomo all’Huffington Post, “Per questo ogni tanto devono recitare di essere la mafia, inviando una pallottola, facendo scoppiare una bomba. Non possono tollerare che qualcuno si senta libero di fronte a loro e se non lo accetti devono far vedere che non se ne sono dimenticati”.
Il giorno della protesta oltre a manifestazioni di tipo razzista – come il cartello “Il vostro posto è nella savana”, una banana sbucciata, gettata a terra e calpestata, e offese rivolte a operatori e operatrici, alle quali è stato chiesto più volte se “vi piace farvi violentare da loro?” – altre parole, raccontano a Progetto Sud, avevano il sapore di intimidazione mafiosa. Qualcuno minacciava: “Sta notte vi facciamo saltare in aria”.
“Durante una riunione fatta in seguito i ragazzi chiedevano ‘Ma è con queste persone che ci dobbiamo integrare?’”, ricorda Panizza “Quello che ho spiegato loro è che la città non è razzista, noi nel quartiere non abbiamo mai avuto problemi. Per strada c’era solo un piccolo gruppo di gente”.
All’apice della protesta gli operatori hanno contato 78 persone sotto il palazzo, compresi gli agenti della polizia arrivati per sedarla.
Tra loro c’erano anche due consiglieri comunali, appartenenti a movimenti politici di area salviniana.
“La mia meraviglia non è stato il populino, ma due eletti della Repubblica Italiana. Abbiamo firmato delle convenzioni che dichiarano l’Italia un paese contro la discriminazione. Se assumi un impegno davanti allo Stato non puoi dimenticarlo”.
Ora che è passato un po’ di tempo dal giorno della protesta nella sede di Luna Rossa i ragazzi continuano a vivere le loro giornate e gli operatori esorcizzano il timore di altri attacchi scherzandoci su.
Nè loro nè Don Giacomo hanno intenzione di lasciarsi condizionare da quanto accaduto o, com’è sempre stato, da possibili intimidazioni da parte della mafia.
“Loro sono pochi e hanno bisogno di conigli, che facciano diventare la paura vigliaccheria”, dice Don Giacomo, “Anch’io ho paura, ma ho più paura di essere vigliacco. E ne vale la pena perchè non abito sulla luna. La vita è questa”.
(da “Huffingtonpost”)
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