L’UOMO DELLE TELEVISIONI FALLISCE L’ULTIMA SCENA: ORE 17.17 SCENDE DAL PALCO TROPPO IN ANTICIPO
NESSUNO AVEVA AVVERTITO BERLUSCONI DEL RITARDO DEL VOTO AL SENATO, LUI FINISCE IL COMIZIO MEZZ’ORA PRIMA DEL VOTO A PALAZZO MADAMA
Più che un colpo di stato doveva essere un colpo di teatro.
La sfida in diretta di Silvio Berlusconi al voto, al destino e alla decadenza.
Da Palazzo Grazioli a Palazzo Madama. Ma stavolta la regia ha fallito sul più bello.
E quando è giunta la notizia del verdetto del Senato, il protagonista della tragedia era già sceso dal palco.
Hanno votato? E’ decaduto? Quanti? Come? Pronto, mi senti?
La signora col barboncino bianco tra le braccia sorride soddisfatta: “Questa è Kyra, la fidanzata di Dudù. Gliel’ho appena presentata e lui ha fatto ciao con la mano”.
Ma è sicura? “Eccome, no?”. Potenza dell’immaginario, e della smorfia.
Perchè c’è pure chi annota i numeri, per la ruota di Roma: 16 e 44 (inizio del discorso); 17 e 17 (fine del discorso); 17 e 43 (la decadenza).
E mentre Silvio stringe ancora mani, in doppiopetto e maglioncino di cashmere girocollo, il signore che mi sta accanto rimette in tasca il foglietto e tenta una sintesi della storica giornata: “Hai visto mai ci scappa una quaterna!”.
Il prologo al comizio, nella drammaturgia studiata dall’ignoto regista che poi sbaglierà la tempistica dell’ultima scena dell’ultimo atto, è una celebrazione del ventennale per immagini, che gli schermi rilanciano nel gelo di via del Plebiscito.
Lui e Putin. Applausi. Lui e Bush Junior. Applausi. Lui e D’Alema. Fischi. Lui e Prodi. Fischi.
E ogni volta che la finestra del balcone si schiude, parte un coro: “Eccolo! Eccolo!”.
Falsi allarmi. Silvio è nel suo appartamento.
Sta ascoltando la fine del discorso in aula della senatrice Anna Maria Bernini di Forza Italia, vestita a lutto. Intanto, nella strada è successo di tutto. Hanno rimosso lo striscione “E’ un colpo di stato” e portato via di peso una delegazione di operai campani che si stavano denudando nell’atrio del palazzo per convincerlo ad ascoltarli (“Sono 14 mesi che siamo senza stipendio, lui è amico nostro”).
E poi luci, fumogeni, altoparlanti col volume a palla sull’inno di Mameli, ma senza alcuna speranza di riscaldare la folla dei sostenitori (scarsina) e quella dei giornalisti (al gran completo).
Lui spunta sul palco alle 16 e 44, appunto.
Mentre la Pascale se lo rimira dalla prima fila. Silvio parla per mezz’ora, interrotto da una ventina di applausi che scandiscono le parole chiave del discorso: noi (di Forza Italia), qui (nella piazza), pacifica (la manifestazione), loro (la sinistra), palese (il voto), assoluzione (la sua), libertà (di tutti), piccoli leader (gli altri), presidente della Repubblica (elezione diretta del), commosso (sempre lui), cuore (di Forza Italia), andati (i traditori), elettori (che vanno convinti), giornata (questa), Italia (paese), Silvio (lui stesso).
Il fatto è che nessuno lo avverte del ritardo sul voto al Senato. Proprio per colpa dei suoi che fanno ostruzionismo. E così la decadenza viene certificata da qualcuno incollato all’Iphone, ma senza che il protagonista sia più sul palco.
Doveva essere un colpo di teatro, è stato un altro comizio.
La delegazione venuta da Bologna torna a casa convinta che la campagna elettorale sia già cominciata. Anche nella città rossa. “Lì siamo in tanti lì, anche se lo dicono in pochi”, spiega una signora che stringe la bandiera arrotolata di Forza Italia come un testimone.
“E sa perchè?”. No. “Perchè sono dei coglioni”.
E su queste parole, dal cielo di via del Plebiscito spariscono pure i gabbiani.
(da “l’Huffingtonpost“)
Leave a Reply