MAI SI ERA VISTA UNA CAMPAGNA ELETTORALE SUL QUIRINALE, PRIMA DI BERLUSCONI
CURE DETOX, MILITARIZZAZIONE DI MEDIASET, PROMESSE AL PARLAMENTO
Come in un déjà vu, anche dieta, massaggi e un po’ di sport fanno parte del racconto. È sempre stato così: i chili che scendono scandiscono i tempi delle ridiscese in campo. Accadeva con le corse nel parco della Certosa o nel resort di Briatore.
E anche stavolta la cura detox a Merano, prevista per fine anno, rivela l’intenzione e la percezione del Cavaliere, che al Colle ci crede davvero.
Vuoi perché, per indole, più gli dicono che è impossibile più si incaponisce, come è sempre stato sin dalla prima discesa in campo, vuoi per quel compiacimento narcisistico per cui il fatto che se ne parli suona già come riabilitazione, vuoi perché è ripartita la gara, tra gli adulanti, a chi gli dice meglio che è il “più figo del bigoncio” per rientrare a corte dalla porta principale, insomma, per tutta una serie di motivi, non c’è commensale, collaboratore, dipendente che, negli ultimi tempi, non abbia ascoltato parole di ottimismo sull’eventualità. O meglio, siccome l’uomo è umorale, diciamo che i momenti di euforia sono superiori a quelli di noia, il sentimento prevalente nelle ultime stagioni.
Mai si era vista un’elezione presidenziale vissuta come una campagna elettorale, fatta di forma fisica da preservare, comunicazione e proposta rivolta al Parlamento con discreto anticipo.
Che poi l’ipotesi rientri nel più classico giro di giostra prima che si inizi a parlare seriamente di Quirinale, è altro discorso.
Però il racconto è, semplicemente, racconto, di cui fa parte anche la chiusura dei programmi di Rete4 – beh, il timing si presta a maliziosi interpretazioni – con tanto di stupore dei medesimi conduttori. Avrà pensato il “Grande Venditore”: non sta mica bene presentarsi all’appuntamento istituzionale per eccellenza, in questo momento poi, avendo in casa gente che consente a fenomeni di baraccone di ululare teorie strampalate su vaccini e green pass in nome degli ascolti. Almeno per un po’ è meglio una vacanza, a costo di perdere qualche punto di share, in fondo è pur sempre un investimento sul mercato della politica.
Certo, il mite Enrico Letta finalmente si è reso conto che, per quanto possa apparire un pesce d’aprile fuori stagione, il Cavaliere sulla carta è a cinquanta voti dall’agognato traguardo, ed era il caso di cominciare a svolgere un lavoro politico uguale e contrario, che non si limitasse al “non può essere”.
Ed effettivamente dire che con Berlusconi al Quirinale significherebbe mettere la parola fine al governo, e dunque alla legislatura, è una mossa proprio sul terreno scelto dal Cavaliere per la sua campagna elettorale: le inquietudini dei parlamentari, che in nome della cadrega, voterebbero anche il diavolo pur di vedere accreditato sul conto corrente anche la mensilità di gennaio 2023.
Il vecchio Silvio, sempre piuttosto abile con le debolezze umane, aveva già promesso la versione riveduta e corretta del famoso milione di posti di lavoro, sotto forma di reddito di cittadinanza da non toccare, e chi lo conosce è pronto a scommettere che, di qui a febbraio, possa anche dirsi convinto della necessità di alzarlo ed estenderlo. Musica per i grillini che dà un po’ non lo chiamano più né Caimano né psiconano. Addirittura Giuseppe Conte ha proposto di dialogare anche con lui sulle riforme istituzionali e chissà se ha ricevuto una telefonata da Arcore di quelle che, per chi conosce il genere, sono piene di seduzione verso l’interlocutore.
Ma è sul reddito di cittadinanza dei parlamentari, tale è lo stipendio fino al 2023 per i parecchi senza né arte né parte né un mestiere decente, che si era giocato la carta più pesante dando ampie rassicurazioni che la legislatura va avanti, ci mancherebbe, e che Draghi deve rimanere a palazzo Chigi, ecco perché le parole di Letta rimescolano il gioco, proprio sul quel terreno, che poi ha la sua importanza, così è.
Almeno è una mossa. Perché, diciamoci la verità, fin qui da un lato si registra una grande attività, di cui fa parte anche il riallineamento di Salvini sulla durata della legislatura, dall’altra poca roba ai limiti della sottovalutazione, al punto che Marco Travaglio, nel suo editoriale, si è detto stupefatto da Pd e Cinque stelle che “balbettano frasi in politichese che lasciano basiti milioni di elettori, abituati da 27 anni a considerare il Caimano la peggior sciagura che si sia abbattuta sulla nostra povera Repubblica”.
Certo, che sapore di amarcord la raccolta delle firme del Fatto contro la candidatura di Berlusconi e quelle dei giornali di destra a favore, con tanto di graffio dell’house organ che, per penna di Minzolini, usa la parola “diserzione” per descrivere le eventuali dimissioni di Draghi come effetto di una elezione divisiva al Quirinale. Ci manca solo il pink tank di Alfonso Signorini e, a quel punto, l’effetto macchina del tempo sarebbe completo.
Peccato per Verdini. “Ah, se ci fosse Denis”, ripetono i parlamentari azzurri, ritornati un po’ più baldanzosi per questi riflettori accesi, gran maestro nell’arruolare in marina con la promessa di un bel giro nel mondo: il gruppo misto è pieno di potenziali marinai, desiderosi di non abbassare il proprio tenore di vita.
Ci sono, in compenso, tanti aspiranti Verdini che chiamano Arcore giurando e spergiurando di “portarne” quota X o Y, ma con capacità tutte da dimostrare anche sei ieri un’anima pia del gruppo misto si è iscritta a Forza Italia. C’è rimasto Dell’Utri come professionista, ombre annesse.
Dopo però che si è presentato a una riunione di coordinatori regionali dicendo ai quattro venti che l’accordo con Renzi era fatto però, in parecchi hanno spiegato al Cavaliere che, visto il curriculum, è meglio tenerlo un po’ più riparato perché non è un bel biglietto per il Quirinale.
E magari l’accordo non c’è, però Dell’Utri non è un farabulano e, andando in giro per i Palazzi, si registra un certo nervosismo di Renzi, quasi un imbarazzo per la candidatura di Berlusconi, sproporzionato rispetto a una cosa ritenuta una bufala, che tradisce un certo disagio.
A forza di far votare con la destra, poi non sai che fare quando si presenta Berlusconi perché, magari, qualcuno dei tuoi lo voterebbe. E comunque, semmai fosse, diventerebbe il principale indiziato. Troppo anche per lui.
(da Huffingtonpost)
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